di Claudia Milazzo @fattybibibi
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GOSSIP
‹ġòsip› s. ingl. (propr. «chiacchiera»), usato in ital. al masch. (e comunem. pronunciato ‹ġòssip›). Il pettegolezzo, le indiscrezioni malevole, spec. di carattere mondano
Tuttɜ noi, nell’accezione odierna, colleghiamo il termine gossip ad un’attitudine dispregiativa e svilente che designa, principalmente, le donne nell’intento di impegnarsi in pettegolezzi durante una conversazione. Ancor di più se tali conversazioni avvengono con altre donne. Oggi il gossip, equiparato alla maldicenza e considerato il risultato delle insicurezze e della competizione tra donne, è inteso come una caratteristica difettosa tipica delle donne.
Al contrario, ci insegnano che gli uomini cis-etero non spettegolano. Gli uomini si impegnano nelle cosiddette “chiacchiere da spogliatoio“, che marcano l’appartenenza a un gruppo, un club selezionato, virile, un’esperienza di legame, per giunta innocuo, da non confondere mai con l’atto, prettamente femminile e quindi malevolo, di fare “gossip”.
Tuttavia, come accennato poco sopra, questo spiraglio di salvezza volto al bene riguarda solo ed esclusivamente gli uomini cis-etero poiché, come è risaputo, gli uomini gay o bi+, sono ugualmente coinvolti nel gossip e sono altrettanto viziosi, se non di più, delle donne. Questi cliché prettamente hollywoodiani, tra gli altri creati riguardo ogni entità queer che esista, ci insegnano che il migliore amico gay vive incessantemente una vita dedita al gossip in modo ancora più estremo rispetto alle sue stesse amiche donne. Si tratta spesso di personaggi creati dal nulla la cui intera personalità si basa su questa caratteristica.
Ma allora, come si chiede Clara Isabel Girón Pacheco sul sito thisisgendered.org, solo le persone che non sono uomini cis-eterosessuali si dedicano al gossip? Le conversazioni sono degne e interessanti solo se tenute da uomini cis-eterosessuali? La risposta a queste domande da un punto di vista patriarcale è evidente; tuttavia, uno sguardo più attento alla storia del termine gossip illumina ulteriormente questo argomento.
ARTE E SATIRA: GUIDA ALL’UTILIZZO ERRATO
La studiosa Silvia Federici, femminista, scrittrice, docente e militante nel suo libro Caccia alle streghe, guerra alle donne, analizza il termine “pettegolezzo” e spiega come sia utilizzato come strumento misogino e oppressivo nei confronti delle donne.
La storia della parola gossip è emblematica perché ci permette di intravedere due secoli di attacchi alle donne agli albori dell’Inghilterra moderna, quando un termine che indicava comunemente un’amica intima si è trasformato in un’espressione denotante un discorso futile e inopportuno, che può seminare discordia, l’opposto della solidarietà che l’amicizia femminile implica e genera. Attribuire infatti un significato offensivo al termine serviva a distruggere le forme di socialità femminile, molto diffuse nel Medioevo, quando la gran parte delle attività tra donne era di natura collettiva.
Derivata dai termini anglosassoni God e sibb (affine), gossip significava originariamente god-parent (padrino, madrina) una persona che ha una relazione spirituale con lǝ bambinǝ da battezzare. Agli inizi dell’Inghilterra moderna il termine si riferiva, invece, alle persone presenti al momento del parto oltre alla levatrice. Col tempo, poi, il termine è passato a indicare le amiche donne, senza alcuna connotazione dispregiativa ma anzi affettiva e denotante un forte attaccamento emotivo. Come riporta Thomas Wright in A History of Domestic Manners and Sentiments in England during the Middle Ages (1862) spesso le donne venivano raffigurate mentre conducevano una vita separata “riunendosi con le loro amiche (gossips) nelle taverne per bere e divertirsi”. Così nei mistery play del Chester Cycle – nei quali membri delle arti con rappresentazioni teatrali cercavano di rafforzare la loro posizione sociale svilendo quelle che ritenevano inferiori attraverso ciò che definivano satira – le donne, considerate socialmente forti ed indipendenti, iniziano ad essere attaccate pubblicamente perché, secondo l’accusa, preferivano le amiche (gossips) ai loro mariti.
In uno di questi mistery play viene rappresentato Noè che esorta persone e animali a entrare nell’arca, mentre la moglie viene mostrata seduta nella taverna con le sue amiche e si rifiuta di andarsene quando il marito la chiama, anche se le acque si stanno alzando, “a meno che non le sia permesso di portare con sé le sue gossips“. Queste, secondo quanto riportato da Wright, sono le parole che le sono state fatte pronunciare dall’autore:
“Sì, signore, spiega la vela,
E rema forte contro la pioggia malvagia,
perché per certo,
Non uscirò da questa città,
Se non con tutte le mie amiche.
Un passo oltre non andrò.
Non affogheranno, per San Giovanni;
Io salverò le loro vite!
Mi amano davvero, per Cristo!
Le farai entrare nella tua barca,
Altrimenti rema pure dove vuoi
E trovarti una nuova moglie.”
Nella commedia, la scena si conclude con uno scontro fisico in cui la moglie picchia il marito.
“La taverna”, sottolinea Wright, “era il luogo di ritrovo delle donne dei ceti medi e inferiori che si riunivano lì per bere e spettegolare”. Aggiunge: “Gli incontri delle gossips nelle taverne costituiscono il soggetto di molte canzoni popolari del XV e XVI secolo, sia in Inghilterra che in Francia”. Come esempio cita una canzone, forse della metà del Quattrocento, che descrive uno di questi incontri. Le donne qui, “essendosi incontrate per caso”, decidono di andare “dove il vino è migliore”, a due a due per non attirare l’attenzione ed essere scoperte dai mariti. Una volta arrivate lodano il vino e si lamentano della loro situazione coniugale. Poi tornano a casa, per strade diverse, “dicendo ai loro mariti di essere state in chiesa”.
La letteratura dei mistery play e dei drammi religiosi appartiene a un periodo di transizione in cui le donne mantenevano ancora un notevole grado di potere sociale, ma la loro posizione sociale nelle aree urbane era sempre più minacciata, poiché le corporazioni (che sponsorizzavano la produzione delle opere teatrali) iniziavano ad escluderle dai loro ranghi e ad istituire nuovi confini tra la casa e lo spazio pubblico. Non sorprende, quindi, che le donne in queste opere fossero spesso rimproverate e rappresentate come litigiose, aggressive e pronte a dare battaglia ai propri mariti. Tipica di questa tendenza era la rappresentazione della “battaglia per i calzoni”, in cui la donna appariva come dominatrice e frustava il marito, a cavalcioni sulla sua schiena, in un’inversione di ruoli chiaramente intesa a far vergognare gli uomini per aver permesso alle loro mogli di mettere loro i “piedi in testa”.
LA POSIZIONE SOCIALE DELLE DONNE
Queste rappresentazioni satiriche, espressione di un crescente sentimento misogino, furono strumentali alla politica e alle arti che aspiravano a diventare prerogative esclusivamente maschili. Ma la rappresentazione delle donne come figure forti e autodeterminate coglieva anche la natura delle relazioni di genere dell’epoca, poiché sia nelle aree rurali sia in quelle urbane le donne non dipendevano dagli uomini per la propria sopravvivenza; avevano le proprie attività e condividevano gran parte della loro vita e del loro lavoro con altre donne. Le donne collaboravano tra loro in ogni aspetto della vita. Il loro status giuridico rifletteva questa discreta autonomia. In Italia, nel XIV secolo, potevano ancora andare autonomamente in tribunale per denunciare un uomo se le aveva aggredite o molestate.
Nel XVI secolo, tuttavia, la posizione sociale delle donne cominciò a deteriorarsi, e la satira lasciò il posto a quella che senza esagerazione può essere descritta come una guerra contro le donne, soprattutto quelle delle classi inferiori, che si riflette nel numero crescente di attacchi alle donne considerate bisbetiche e disobbedienti oltre che nelle accuse di stregoneria. Insieme a questo sviluppo, cominciamo a vedere un cambiamento nel significato del termine gossip, che va sempre più a designare una donna impegnata in chiacchiere inutili e malevole.
Questa trasformazione va di pari passo con il rafforzamento dell’autorità patriarcale nella famiglia e con l’esclusione delle donne dai mestieri e dalle arti, che, combinata con il processo di clausura, ha portato a una “femminilizzazione della povertà”. Con il consolidamento della famiglia e dell’autorità maschile al suo interno, che rappresenta il potere dello Stato nei confronti di mogli e figli, e con la perdita dell’accesso ai precedenti mezzi di sostentamento, sia il potere delle donne che le amicizie femminili furono indeboliti.
NUOVE TORTURE PER LE DONNE
Così, mentre nel Basso Medioevo la moglie poteva ancora essere rappresentata mentre resisteva al marito e addirittura veniva alle mani con lui, alla fine del XVI secolo poteva essere severamente punita per ogni dimostrazione di indipendenza e per ogni critica fatta mossa al coniuge. L’obbedienza — come sottolinea costantemente la letteratura dell’epoca — era il primo dovere della moglie, imposto dalla Chiesa, dalla legge, dall’opinione pubblica e, in definitiva, dalle crudeli punizioni che venivano introdotte contro le bisbetiche.
Un esempio furono le “briglie della comare”, un sadico aggeggio fatto di metallo e pelle che avrebbe lacerato la lingua della donna se avesse tentato di parlare. Si trattava di una struttura di ferro che racchiudeva la testa della donna.
Un morso della briglia lungo circa cinque centimetri e largo due centimetri e mezzo veniva inserito nella bocca e premeva sulla parte superiore della lingua; spesso era tempestato di punte in modo da infliggere dolore e rendere impossibile parlare.
Registrato per la prima volta in Scozia nel 1567, questo strumento di tortura fu progettato come punizione per le donne delle classi inferiori ritenute “scocciatrici”, “bisbetiche” o ribelli, che erano spesso sospettate di stregoneria. Anche le mogli che erano viste come streghe, bisbetiche o troppo critiche nei confronti dei mariti erano costrette a indossarlo chiuso a chiave sulla testa. Veniva spesso chiamato gossip bridle, a testimonianza del cambiamento nel significato del termine. Con una simile cornice che chiudeva la testa e la bocca, lз accusatз potevano essere condottз per la città in una crudele umiliazione pubblica che deve aver terrorizzato ogni donna, a cui veniva mostrato cosa sarebbe avvenuto se non fosse stata servile e remissiva.
Un’altra tortura a cui venivano sottoposte le donne era il ducking stool – lo sgabello da immersione – usato anche come punizione per le sex workers e per le donne che prendevano parte a rivolte anti-reclusione. Era una specie di sedia a cui una donna veniva legata “messa a sedere per essere buttata dentro uno stagno o un fiume.” Secondo D.E. Underdown, “dopo il 1560 le prove della sua adozione cominciarono a moltiplicarsi”.
Contemporaneamente le donne furono portate in tribunale e multate per “vituperio” (ingiuria), mentre i preti nei loro sermoni tuonavano contro le loro malelingue. Le mogli dovevano essere silenziose, “obbedire al marito senza fare domande” e “avere soggezione nei suoi confronti”. Soprattutto veniva loro ordinato di mettere i mariti e la casa al centro delle loro attenzioni e di non trascorrere il tempo alla finestra o alla porta. Erano addirittura scoraggiate dal fare troppe visite alle famiglie d’origine dopo il matrimonio e soprattutto dal trascorrere del tempo con le amiche. Poi, nel 1547, “fu emanato un proclama che vietava alle donne di incontrarsi per chiaccherare” e ordinava ai mariti di “tenere le mogli nelle loro case”. La distruzione delle amicizie femminili era uno degli obiettivi della caccia alle streghe, poiché nel corso dei processi le donne accusate venivano costrette sotto tortura a denunciarsi a vicenda, amiche contro amiche, figlie contro madri.
Così il termine “gossip” si trasforma da una parola di amicizia e affetto in una parola offensiva e sarcastica.
Gossip oggi designa discorsi informali, spesso dannosi per coloro che ne sono oggetto. Sono soprattutto le chiacchiere che traggono soddisfazione da un’irresponsabile infamazione dellɜ altrɜ; è la circolazione di informazioni non destinate all’orecchio pubblico, ma capaci di rovinare la reputazione delle persone, ed è inequivocabilmente un “discorso da donne”.
Sono le donne che “spettegolano“, presumibilmente non avendo niente di meglio da fare e avendo meno accesso alla conoscenza e alle informazioni reali e un’incapacità strutturale di costruire discorsi razionali e basati sui fatti. Pertanto, il gossip è parte integrante della svalutazione della personalità delle donne e del lavoro, in particolare quello domestico, ritenuto il terreno ideale su cui fiorisce questa pratica.
LE TESSITRICI DI MEMORIA
Questa concezione di “gossip“, come abbiamo visto, è emersa in un particolare contesto storico. Dal punto di vista di altre tradizioni culturali, in molte parti del mondo, le donne sono state storicamente viste come tessitrici di memoria, coloro che mantengono vive le voci del passato e le storie delle comunità, che le trasmettono alle generazioni future e, così facendo, creano un’identità collettiva e un profondo senso di coesione. Sono anche coloro che tramandano conoscenze e sapienze acquisite riguardo ai rimedi medici, ai problemi del cuore e alla comprensione dei comportamenti umani, a cominciare da quello degli uomini. Etichettare tutta questa produzione di conoscenza come gossip fa parte dell’obiettivo di svilire le donne, in linea con la costruzione dei demonologi della donna stereotipata come incline alla malignità, invidiosa della ricchezza e del potere altrui e pronta a servire il Diavolo. È in questo modo che le donne sono state messe a tacere e sono state escluse fino ad oggi da molti luoghi in cui vengono prese le decisioni, private della possibilità di definire la propria esperienza e costrette a fare i conti con la misoginia.
Oggi però ci stiamo riappropriando del nostro sapere e stiamo recuperando la nostra conoscenza. Il gossip è uno strumento utilizzato dalle donne e da altre persone marginalizzate dalla società per condividere informazioni che altri sistemi spesso non prendono in considerazione. Il gossip tiene unite le nostre comunità, ci mantiene al sicuro, ci fornisce conoscenze importanti. Il personale è politico. Le nostre intimità sono politiche. Il gossip è un atto sovversivo, un atto anticapitalista e un atto transfemminista. Rivendichiamolo. Dopotutto, cosa abbiamo da perdere? A prescindere, ai loro occhi, siamo e saremo sempre tutte streghe.
Fonti:
Caccia alle streghe, guerra alle donne – Silvia Federici
https://thisisgendered.org/entry/gossip/
https://feminisminindia.com/2022/02/17/the-act-of-gossiping-a-feminist-analysis/
https://medium.com/lessons-from-history/how-patriarchy-redefined-gossip-to-be-a-womens-thing-3aac0dcbdc14
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THE DEMONIZATION OF THE TERM “GOSSIP” AND THE DESTRUCTION OF WOMEN’S SOCIETY
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GOSSIP
conversation or reports about other people’s private lives that might be unkind, disapproving, or not true
Cambridge Dictionary (s.d.). Gossip. Last access: 2024/06/25, https://dictionary.cambridge.org/it/dizionario/inglese/gossip
All of us, in today’s meaning, link the term gossip to a derogatory and demeaning attitude which mainly refers to women who engage in gossip during a conversation. Even more so if such conversations happen with other women. Nowadays gossip, equated with slander and considered the result of insecurities and competition between women, is understood as a negative characteristic typical of women.
Instead, we are taught that cis-het men don’t gossip. Men engage in the so-called “locker room chatter”, which marks belonging to a group, a selected and virile club, a bonding experience, which is also harmless, never to be confused with the act of gossiping, deemed as purely feminine and therefore malicious.
However, as mentioned above, this glimmer of salvation concerns only and exclusively cis-straight men since, as is well known, gay or bi+ men are equally involved in gossip and are equally vicious, if not more so, of women. These Hollywood clichés, among others concerning every queer entity that exists, teach us that the gay best friend incessantly lives a life dedicated to gossip in an even more extreme way than his own female friends. These are often characters created from nothing whose entire personality is based on this characteristic.
But then, as Clara Isabel Girón Pacheco asks herself on the website thisisgendered.org, do only people who are not cis-heterosexual men engage in gossip? Are conversations worthy and interesting only when held by cis-heterosexual men? The answer to these questions from a patriarchal point of view is obvious; however, a closer look at the history of the term gossip further illuminates this topic.
ART AND SATIRE: GUIDE TO MISUSE
Silvia Federici, feminist scholar, writer, teacher and activist in her book Caccia alle streghe, guerra alle donne (Witches, Witch-Hunting, and Women), analyzes the term “gossip” and explains how it is employed as a misogynistic and oppressive tool towards women.
The history of the word gossip is emblematic because it allows us to get a glimpse of two centuries of attacks on women at the dawn of modern England, when a term that commonly indicated a close friend was transformed into an expression denoting futile and inappropriate speech, which can sow discord, the opposite of the solidarity that female friendship implies and generates. In fact, attributing an offensive meaning to the term served to destroy many forms of female sociality, which were very widespread in the Middle Ages, when most of the activities between women were of a collective nature.
Derived from the Anglo-Saxon terms God and sibb (similar), gossip originally meant god-parent, someone who has a spiritual relationship with the child who is being baptized. In early modern England the term referred, however, to the people present at the moment of birth in addition to the midwife. Over time, then, the term took on the meaning of female friends, without any derogatory connotation but rather affective and denoting a strong emotional attachment. As Thomas Wright reports in A History of Domestic Manners and Sentiments in England during the Middle Ages (1862) women were often depicted as leading a separate life “gathering with their female friends (gossips) in taverns to drink and enjoy themselves”. Thus in the mystery plays of the Chester Cycle – in which members of the arts tried through theatrical performances to strengthen their social position by debasing those they considered inferior through what they defined as satire – women, considered socially strong and independent, began to be publicly attacked because, according to the accusation, they preferred their friends (gossips) to their husbands.
One of these mystery plays shows Noah urging people and animals to enter the ark, while the wife is shown sitting in the tavern with her friends and refusing to leave when her husband calls her, even though the waters are rising, “unless she is allowed to take her gossips with her.” These, according to what Wright reported, are the words that were spoken to her by the author:
Yea, sir, sette up youer saile,
And rowe fourth with evill haile,
For withouten fayle
I will not oute of this towne,
But I have my gossippes everyechone (every one)
One foote further I will not gone (go).
They shall not drowne, by Sante John,
And I maye save ther life!
They loven me full wel, by Christe!
But thout lett them into they cheiste,
Elles (otherwise) rowe nowe wher the leiste (where you like),
And gette thee a newe wiffe.
Thomas Wright, A History of Domestic Manners and Sentiments in England During the Middle Ages. London, Chapman and Hall, 1862, p. 421.
In the play, the scene ends with a physical fight in which the wife beats her husband. “The tavern,” Wright points out, “was the gathering place of middle- and lower-class women who gathered there to drink and gossip.” He adds: “The gossips’ meetings in taverns form the subject of many folk songs of the 15th and 16th century, both in England and in France.” As an example he cites a song, perhaps from the mid-fifteenth century, which describes one of these meetings. The women here, “having met by chance”, decide to go “where the wine is better”, two by two so as not to attract attention and be discovered by their husbands. Once they arrive they praise the wine and complain about their marital situation. Then they return home, by different routes, “telling their husbands that they have been to church”.
The literature of mystery plays and religious dramas belongs to a transition period in which women still retained a considerable degree of social power, but their social position in urban areas was increasingly threatened, as corporations (which sponsored the production of plays) began to exclude them from their ranks and establish new boundaries between the home and public space. It is not surprising, therefore, that women in these works were often berated and depicted as quarrelsome, aggressive, and ready to do battle with their husbands. Typical of this trend was the depiction of the “battle for the trousers”, in which the woman appeared as dominatrix and whipped her husband, straddling his back, in a change of roles clearly intended to shame men for allowing their wives to put their “feet on their heads”.
WOMEN’S SOCIAL POSITION
These satirical representations, an expression of a growing misogynistic sentiment, were instrumental to politics and the arts which aspired to become exclusively male prerogatives. But the portrayal of women as strong, self-determined figures also captured the nature of gender relations at the time, as in both rural and urban areas women were not dependent on men for their survival; they had their own businesses and shared much of their lives and work with other women. Women collaborated with each other in every aspect of life. Their legal status reflected this discrete autonomy. In Italy, in the 14th century, they could still independently go to court to report a man if he had attacked or molested them.
In the 16th century, however, the social position of women began to deteriorate, and satire gave way to what can be described without exaggeration as a war against women, especially those of the lower classes, reflected in the increasing number of attacks to women considered shrewish and disobedient as well as in accusations of witchcraft. Along with this development, we are starting to see a change in the meaning of the term gossip, which increasingly refers to a woman engaged in useless and malicious chatter.
This transformation goes hand in hand with the strengthening of patriarchal authority in the family and with the exclusion of women from the crafts and arts, which, combined with the process of enclosure, has led to a “feminization of poverty”. With the consolidation of the family and male authority within it, representing the power of the state over wives and children, and with the loss of access to previous livelihoods, both women’s power and female friendships were weakened.
NEW TORTURES FOR WOMEN
Thus, while in the late Middle Ages the wife could still be represented resisting her husband and even coming to blows with him, at the end of the 16th century she could be severely punished for any demonstration of independence and for any criticism made towards her spouse. Obedience — as the literature of the time constantly emphasizes — was the wife’s first duty, imposed by the Church, by the law, by public opinion and, ultimately, by the cruel punishments that were introduced against shrews.
An example was the “scold’s bridle”, a sadistic contraption made of metal and leather that would lacerate a woman’s tongue if she attempted to speak. It was an iron structure that enclosed the woman’s head.
A bridle bit, which was about five centimeters long and two and a half centimeters wide, was inserted into the mouth and pressed on the top of the tongue; it was often studded with spikes so as to inflict pain and make speech impossible.
First recorded in Scotland in 1567, this torture device was designed as a punishment for lower-class women deemed “nuisances,” “shrews,” or rebellious, who were often suspected of witchcraft. Even wives who were seen as witches, shrews, or too critical of their husbands were forced to wear it. It was often called gossip bridle, reflecting the change in the meaning of the term. With such a frame covering their heads and mouths, the accused could be led through the city in a cruel public humiliation that must have terrified every woman who was shown what would happen if she were not servile and submissive.
Another torture to which women were subjected was the ducking stool – also used as punishment for sex workers and for women who took part in anti-confinement riots. It was a kind of chair to which a woman was tied “and sat down to be thrown into a pond or river.” According to D.E. Underdown, “after 1560 the evidence for its implementation began to multiply.”
At the same time women were taken to court and fined for “vituperation” (insult), while the priests thundered against their gossip during sermons. Wives were expected to be silent, “obey their husband without question,” and “be in awe of him.” Above all they were ordered to put their husbands and home at the center of their attention and not to spend time at the window or door. They were even discouraged from making too many visits to their families of origin after marriage and above all from spending time with friends. Then, in 1547, “a proclamation was issued forbidding women to meet for chatter” and ordering husbands to “keep their wives in their homes.” The destruction of female friendships was one of the objectives of the witch hunt, since during the trials the accused women were forced under torture to denounce each other, friends against friends, daughters against mothers.
This is how the term gossip went from being a word of friendship and affection to being an offensive and sarcastic word.
Gossip today refers to informal discourse, often harmful to those who are the subject of it. Above all, it is chatter that derives satisfaction from an irresponsible defamation of others; it is the circulation of information not intended for the public ear, but capable of ruining people’s reputations, and it is unmistakably “women’s talk”.
It is women who gossip, presumably having nothing better to do and having less access to real knowledge and information and a structural inability to construct rational, fact-based discourse. Therefore, gossip is an integral part of the devaluation of women’s personalities and work, particularly domestic work, seen as the ideal floor on which this practice flourishes.
MEMORY WEAVERS
This understanding of “gossip”, as we have seen, emerged in a specific historical context. From the perspective of other cultural traditions, in many parts of the world, women have historically been seen as memory weavers, those who keep alive the voices of the past and the stories of communities, those who pass them on to future generations and, in doing so, create a collective identity and a deep sense of cohesion. They are also those who pass on the knowledge and wisdom acquired regarding medical remedies, heart problems and the understanding of human behavior, starting with men’s. Labeling all this knowledge production as gossip is part of the goal of debasing women, in line with the demonologists’ construction of the stereotypical woman as prone to malice, envious of the wealth and power of others and ready to serve the Devil. This is how women have been silenced and excluded to this day from many places where decisions are made, deprived of the possibility of defining their own experience and forced to deal with misogyny.
Today, however, we are reclaiming and recovering our knowledge. Gossip is a tool used by women and other people marginalized by society to share information that other systems often do not take into consideration. Gossip holds our communities together, keeps us safe, provides us with important knowledge. Our personal lives are political. Our intimacies are political. Gossip is a subversive act, an anti-capitalist act and a transfeminist act. Let’s claim it. After all, what do we have to lose? Regardless, in their eyes, we are and always will be all witches.
Tradotto da: Giuli
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