Se ce la fa lei allora pure io. /If she can do it then so can I.

Post: Alessia

Edit: Fili

Traduzione: Silvia 

Edit Traduzione: Noel 

Grafica: Claudia

Pubblicazione: Alessia

Disclaimer: Il termine “colorato” è stato usato intenzionalmente da chi ha creato la rubrica, una persona italiana nera di origine Afro-statunitense e Afro-Latina Peruviana. Ho deciso di riappropriarmi di questo termine, la cui violenza non è da meno rispetto agli slurs più eclatanti. Con questo non voglio tuttavia in nessun modo triggerare le persone che leggono, motivo per cui ho tenuto a specificare le mie motivazioni. 

Disclaimer: The term “colour*d” is used intentionally by the creator of this series, an Italian Black woman of African-American and Afro-Peruvian heritage. I chose to reclaim these terms, whose violence is no less than that of the most outspoken slurs. The intention in reclaiming these words is not to trigger readers, so I wanted to explain why I chose to use such terms. È una frase che si sente spesso, e che in passato, sentendola rivolta a me, non mi dava fastidio, perché pensavo ispirasse la gente a migliorarsi… solo col tempo ho capito quanta ignoranza quella frase nascondesse, quanto disprezzo, e in fondo anche quanto razzismo.

Usiamo quella frase per parlare di persone che hanno fatto un’azione considerevole, che tuttavia non ci aspettavamo da quelle persone, quindi l’unica spiegazione che troviamo nella nostra mente è questa: “l’azione fatta non è così considerevole, è alla portata di tutt3, persino di quella persona, quindi posso farlo pure io”.

Ciò che non viene tenuto in considerazione è il lavoro che c’è dietro, svolto da una determinata persona.

Spesso non si tiene in considerazione che non conosciamo le persone così a fondo come crediamo e che dietro determinati atteggiamenti si nasconde una persona con delle qualità che noi non ci possiamo neanche immaginare. 

Un altro problema di fondo è che spesso tendiamo a dar ascolto alla voce del “branco”, o di una persona particolarmente influente. Anche se abbiamo occhi e orecchie per vedere, quando qualcuno in una posizione di potere ci dice di escludere una certa persona, non ci poniamo nemmeno il dubbio che si possa sbagliare.

E come ciliegina sulla torta non dimentichiamoci una buona dose di “beauty and thin privilege”. Poiché accostiamo il successo con persone considerate fisicamente attraenti, non è possibile che una persona considerata “non bella” secondo i canoni imposti dal nostro standard sociale di bellezza  possa avere successo: dev’esserci un altro motivo.

Questo succede ancora di più quando una persona proviene da un background socio/economico svantaggiato, appartiene ad una minoranza etnica/religiosa, o ha una disabilità… non è mai possibile, non riusciamo ad accettare il successo di coloro socialmente visti  come non “belli”, o, in altre parole, non normativi.

Mi è successo moltissime volte in passato, ottenere un buon lavoro, un buon riconoscimento, un risultato importante, e tutt3 a seguire a ruota, pur dicendomi: “non pensavo fosse così facile”.


E chi te l’ha detto? Chi ti ha detto che dietro una vittoria non ci siano state cento sconfitte? Chi ti ha detto che dietro un sì non ci siano stati mille no? Chi ti ha detto che dietro un successo non ci siano lacrime, sudore e sangue?

Che sia facile lo pensi solo tu.

Inizialmente, quando questa gente si comportava così con me pensavo: “sì, va bene, che ci provino, poi vedranno che non è così e capiranno il mio duro lavoro, mi apprezzeranno”, e succedeva sempre il contrario, non riuscivano a capire come alcune cose fossi riuscita a farle ma loro no.  Non c’era ammirazione, c’era rabbia.

Ci misi tanto ad accettare che le persone vicino a me non potevano capire come “una come me” potesse ottenere qualcosa che loro non avessero nemmeno mai sognato.

Ci misi tanto ad accettare che ero circondata da persone che non mi volevano, non mi rispettavano, mi disprezzavano.

Ora non accetto più nessun “come hai fatto? Se ci sei riuscita voglio provare pure io”. Non lo accetto più, non sorrido più incoraggiando la gente. Perché so che pensano cose tutt’altro che positive  su di me, sono l’ultima persona al mondo che ammirerebbero, non sono sincer3 con me.

Ora mi allontano da certa gente, e mi do una pacca sulla spalla, perché l’unica persona che devo ispirare a migliorarsi è la sottoscritta. Devo spingermi a volermi bene, al punto tale da non accettare più il “se ce l’ha fatta lei allora pure io”.

Non mi sminuisco più, se ce l’ho fatta è perché ho lottato, e questo non me lo toglie più nessun3.

Traduzione: 

Title: If she can do it, so can I.

That’s a sentence you can hear a lot, and in the past, when someone directed it at me, it didn’t bother me, because I considered it as an encouragement for everyone to do better… It took me some time to realise how much ignorance, disdain, and, deep down, even racism this sentence concealed within itself. 

That’s a sentence we use to describe people achieving remarkable goals. Goals that, nevertheless, we never expected from that specific person. As a result, the only justification that comes to our minds is: “Actually, that achievement isn’t so extraordinary; it’s something anyone can do, even this person, so I can do it too”. What is often overlooked is the effort made by that specific person to reach that goal. We often overlook that we don’t actually know people as deeply as we think, and that behind certain attitudes lies hidden a person with qualities we can’t even imagine. 

Another fundamental issue is that we often fall into herd behavior, or we follow someone due to the influence they have on us. Even though we have eyes to see and ears to listen, when someone in a position of power tells us to exclude a specific person, the possibility that they might be wrong doesn’t even cross our minds.

And, as the icing on the cake, let’s not forget a good dose of “beauty and thin privilege”. Since we associate success with being conventionally attractive, it’s impossible for us to acknowledge that someone considered “unattractive” according to imposed beauty standards could achieve success: there must be another reason behind it. This happens even more often when the person in question comes from a socio-economic disadvantaged background, when they belong to an ethnic/religious minority, or they have a disability… We are unable to accept the success of those who are socially seen as “unattractive”, or, in other words, those who don’t conform to the norm.

It happened to me many times in the past: when I got a good job, earned an important recognition, or achieved a significant result, people would always rush to copy, “I didn’t realize it could be so easy”.

​​And who told you that? Who told you that behind a victory there hadn’t already been a hundred defeats? Who told you that behind a yes there hadn’t already been a thousand nos? Who told you that behind a success there aren’t blood, sweat, and tears?

The only person who thinks it’s easy is You.

At the beginning, when I was treated this way, I thought to myself, “Okay, let them try, then they’ll see that it’s not as easy as they think, and they’ll understand my hard work, they’ll appreciate me”. But it always turned out the other way: they couldn’t understand how I managed to do things that they couldn’t. There was no admiration, only anger.

It took me a long time to accept that the people around me couldn’t understand how “someone like me” could achieve something they hadn’t even dreamed of.

It took me a long time to accept that I was surrounded by people who didn’t want me, didn’t respect me, and despised me.

Now, I don’t tolerate the “How did you do that? If you could do it, I want to try too” anymore. I don’t accept it anymore, and I don’t smile anymore to encourage others. Because I know they think nothing positive of me. I’m the last person on earth they would admire; they’re not sincere with me.

Now, I turn away from those people, and I give myself a pat on the back because the only person I need to inspire to be and do better is myself. I must love myself to the point where I no longer accept “If she can do it, so can I”.

I no longer undermine myself. If I made it, it’s because I fought for it, and that’s something nobody can take away from me.


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