WHITE SAVIOUR: IL FARDELLO DELL’UOMO BIANCO

di Natasha Fontana
(english below the cut)

Prendete il fardello dell’Uomo Bianco,
le selvagge guerre di pace
riempiono la bocca della Carestia
e ordinano la cessazione della malattia;
e quando la tua meta è più vicina
alla fine per gli altri cercata,
osserva l’accidia e la follia pagana
portare tutte le tue speranze nel nulla.

Kipling, Il fardello dell’uomo bianco, 1899

Quante volte abbiamo sentito o sentiremo dire affermazioni del tipo “sì ma quelli sono come noi 200 anni fa” oppure “abbiamo (popolazione bianca) fatto bene a portare loro un po’ di sana civiltà” oppure visto ritratt3 sui social media bambin3 con occhi profondi che guardano l’obbiettivo fotografico, che, a volte, contornano persone bi4nche sorridenti. Queste ultime pubblicano ossessivamente questa tipologia di foto per toccare il cuore de3 loro followers e per alimentare il loro ego in modo esagerato.

Ma cosa c’è dietro a tutto questo? In Italia se ne parla ben poco, ma il fenomeno viene denominato white saviourism, ossia un comportamento delle persone bianche che vogliono aiutare le popolazioni del sud del mondo, considerando la loro attività missionaria e civilizzatrice indispensabile per coloro che vengono reputat3 dentro un immaginario dai toni che richiamano la poesia sopra citata, ossia Il fardello dell’uomo bianco di Kipling. Secondo questa orribile composizione, i bianchi saranno coloro che salveranno le popolazioni – in questo caso del continente Africano – dalla distruzione e dalla povertà.

L’atteggiamento è profondamente legato ai tempi coloniali durante i quali le persone del sud del mondo venivano considerate a-temporali, cristallizzate in un orizzonte “primitivo” e che senza aiuti dall’esterno sarebbero rimaste a questo stato di arretratezza. Di conseguenza, doveva esserci necessariamente l’intervento di un bianco a far sì che essi si potessero evolvere. Tale forma di pensiero fondava le basi su cui nascevano le giustificazioni per conquistare altre popolazioni straniere, rendendole schiave. Oggigiorno l’atteggiamento di superiorità che mira alla banalizzazione delle culture altre non avviene così esplicitamente, è ben più silenzioso seppur altrettanto radicato nella mente della società che si auto-dichiara “civilizzata” e l’espressione più alta – paradossalmente ipocrita – avviene quando una persona bianca parte per luoghi nel sud del mondo per collaborare a dei progetti di volontariato e simili.

L’esperienza life-changing viene avvalorata dalla pubblicazione dei gesti quotidiani, spinti nella maggior parte dei casi da un profondo senso di egoismo ed esibizionismo. Queste persone fanno leva sulle compassionevoli reazioni de3 loro followers, dimenticando, però, qualcosa di importante, anzi primario, perché questi meccanismi sono di natura neo-coloniale. Quel che evince in questi comportamenti, è l’invisibilità della persona BIPOC, svuotata dalla sua umanità e taciuta di ogni sua soggettività e parola. Ora facciamo una breve panoramica degli atteggiamenti del white saviourism e come prevenirli.

FOTO DI MINORENNI DALL’ALTRA PARTE DEL MONDO SENZA CONSENSO? NO, GRAZIE!

Il potere asimmetrico si palesa attraverso le foto e i video che ritraggono minori senza il consenso. La persona bianca che va in paesi poveri si sente libera di pubblicare – per fare vedere la sua compassionevole inclinazione – foto/video di minori senza il consenso dei genitori, alla mercé di centinaia, o peggio, migliaia di followers che si congratulano con l3 viaggiator3, poiché l3 considerano di gran cuore. Capovolgiamo la situazione per vedere quanto sia assurdamente sgradevole: una persona straniera arriva in una città italiana e inizia compulsivamente a scattare foto alla popolazione, concentrandosi maggiormente su3 bambin3 senza chiedere minimamente alle figure genitoriali. Non vi sembra un pochino strano? Infatti, scattare foto a minori senza consenso in Italia è considerato un reato. Perché in altri luoghi sentiamo il diritto di farlo? Perché siamo compartecipi ai rapporti asimmetrici tra la nostra cultura e un’altra, quest’ultima viene silenziosamente considerata inferiore. Ecco, perché noi ci sentiamo liber3 di fare ciò che, nel nostro paese, sarebbe inaccettabile. 

In molti casi si assiste alla spettacolarizzazione della povertà, chiamata anche poverty porn,  in cui questa situazione di disagio viene intrappolata negli obiettivi delle persone privilegiate come garanzia “di una vera esperienza del luogo”, senza incappare nei meccanismi “turistici”. Questa, a mio avviso la forma più becera che ci sia, toglie la voce per sempre ad una persona che magari non vuole essere ritratta in così difficili condizioni, poiché la spoglia di ogni dignità e la de-umanizza. 

Djarah Kan, scrittrice Italo-Ghanese, scriveva a tal proposito in un suo post: “In molte culture africane mostrare la propria povertà è una grande vergogna. Dire di avere bisogno di aiuti economici è una grande vergogna. Non avere soldi per vestire e mandare i propri figli a scuola è una grande vergogna”. La de-umanizzazione rimane per sempre, proprio come una fotografia o uno stupido video clip per fare dei likes

La poverty-porn viene utilizzata in associazioni a scopo benefico. Infatti quante volte abbiamo visto bambin3 denutrit3 in foto di ONG? Spesso accompagnate da frasi pietose, che però, a dire il vero, rivelano in modo esplicito la pretesa superiorità culturale di chi ha scattato le fotografie. Senza lasciare spazio alla persona che viene catturata dagli obbiettivi, noi la de-umanizziamo, le togliamo la voce. Per di più, le immagini crude e violente non fanno altro che abituare 3 spettator3 a questi disastri, perché se trasmesse ogni giorno diventano quasi normalizzate e poi dimenticate. E, se vengono dimenticate, anche le popolazioni fanno la medesima fine. Credo dunque sia più giusto sensibilizzare le persone con privilegi con altre modalità, tramite frasi o storie, piuttosto che appoggiarsi all’ennesima foto che ritrae le persone in condizioni indescrivibili.  

Ciò che accomuna i fenomeni è che questi esseri umani vengono esposti, senza o con il loro consenso, mentre noi stiamo a guardare. Tale immobilità ricorda tristemente quanto successe nelle esposizioni universali, con vittime obbligate a essere messe in mostra allo sguardo di persone privilegiate europee. Questo ci deve ricordare quanto comportamenti del passato profondamente razzisti e colonialisti echeggino ciò che possiamo vedere oggi sui social. Le fotografie senza reale consenso a bambin3, anzian3 e altre persone diventano la prova di quanto noi ci aggrappiamo ancora a questa categoria di pensiero. Le popolazioni altre non sono un’attrazione turistica. Basta con questi atteggiamenti.

Ciò che purtroppo traspare da queste pratiche è l’invisibilità e la mancata parola alle persone BIPOC, che vengono mostrate al pubblico come de-personalizzate, senza alcuna soggettività.

SIAMO NOI L’OSSERVATOR3 MA NELLO STESSO TEMPO 3 OSSERVAT3

L’atteggiamento del white saviourism si compone nella convinzione di riconoscere, da persona bianca, ciò che è meglio per le comunità BIPOC, senza capire davvero i meccanismi socio-culturali che partecipano alla loro costruzione di senso. Quante volte abbiamo sentito frasi del tipo: ma perché queste persone non fanno …. (seguito da qualche azione/atteggiamento della nostra società)? E la risposta è molto semplice: perché loro possiedono modi di pensare, di socializzare diversi, possiedono proprie scelte e si dà il caso che queste scelte non ricadano inevitabilmente negli standard occidentali. 

La presunta superiorità rispetto a popoli diversi fa sì che si vengano a instaurare controversie di tipo neo-coloniale che, come ho detto in precedenza, fanno originare una dualità tra 3 civilizzator3 e coloro che sono da civilizzare. Se pensiamo ciò, anche per un attimo, siamo partecipi di ideologie che hanno causato morti, violenze in varie forme e anche la distruzione ambientale.

Vedremo come il “cogliere il punto di vista de3 nativ3” sia un obiettivo impossibile, soprattutto se realizzato da una persona bianca privilegiata.

Crediamo che questi popoli non siano spinti anch’essi da scelte culturali ereditarie, che essi siano prodotti cristallizzati in una condizione senza tempo, quindi senza possibilità di svilupparsi (e la nostra idea dello sviluppo è fallace, perché lo consideriamo tale solo se rispetta la nostra linea storica). Quindi pensiamo prima di parlare, perché sicuramente la popolazione locale conosce maggiormente gli elementi che ha intorno e sa come utilizzarli al meglio secondo la propria prospettiva culturale. 

Affermazioni del genere, inoltre, non considerano una cosa, che per me è fondamentale: il nostro peso dentro una società che non è la nostra, e come in questi luoghi lontani si possano vedere chiaramente i rapporti asimmetrici tra persone bianche e quelle BIPOC. 

Le prime non si rendono conto di quanto la loro presenza sia turbante per la popolazione locale, quindi, in generale, la loro volontà di vedere “la vera cultura” è una mera illusione. Le persone autoctone ci osservano e guardano come noi ci relazioniamo. 

La svolta più importante nel campo dell’antropologia è stata attuata da Bronislaw Malinowski nel suo studio sulle popolazioni delle Trobriand, in Papua Nuova Guinea nel 1922. Egli iniziò a capire quanto fosse importante evidenziare la sua presenza nel suo fieldwork. Infatti, affermò che lui non fosse l’unico a osservare la popolazione ma che egli stesso – essendo elemento “turbante” – era osservato a sua volta. Quindi, l’osservazione antropologica non era più costituita da un soggetto – bianco – che osservava una popolazione BIPOC come oggetto dell’osservazione, ma il processo rivelava un’interazione multiforme fra due soggetti che si osservavano a vicenda. Oltre a ciò, vi è la conferma che una totale immedesimazione in un’altra cultura sia impossibile, poiché ci sono valori sociali, culturali, storici che non potranno mai essere colti da una persona privilegiata o non appartenente a quella cultura. 

I rapporti asimmetrici di cui parlo si possono manifestare  in numerosi modalità: oltre alle foto, anche all’accettazione di persone come volontarie o come cooperanti per mansioni che non sanno minimamente svolgere e per le quali, in Europa ad esempio, dovrebbero essere necessari certificazioni o concorsi. L’esempio più caratteristico è l’insegnamento. Quante persone bianche abbiamo visto che non hanno mai studiato per lavorare in questo ambito che vanno dall’altra parte del mondo a insegnare a bambin3 già con pochi privilegi? La ruota gira perennemente su se stessa, facendo capire quanto le persone provenienti da zone ricche possano fare ciò che vogliono in zone problematiche, anche senza conoscere le basi di ciò che stanno facendo. Quindi, prima di tutto dobbiamo chiederci: è ciò che voglio dare a quest3 bambin3 o è solo un riflesso del desiderio di farmi vedere come “salvator*” delle zone controverse? Consiglio di guardare la serie HBO Saviour Complex, che narra la biografia di Renee Bach, la quale spinta dal desiderio umanitario-neo coloniale si trasferì in Uganda, dove fondò un centro di distribuzione del cibo e anche uno medico-sanitario, di quest’ultimo lei divenne, ovviamente, la direttrice. Fino a qui non si potrebbe percepire nulla di strano, ma se vi dicessi che non aveva alcuna preparazione nell’ambito medico-sanitario? E che tentò di curare con la sua esperienza medica inesistente molt3 bambin3? Questa sua totale impreparazione causò la morte di più di un centinaio di loro. La colpa ricade sulla donna, ma anche sul sistema profondamente bi4ncocentrico che ha permesso che ciò accadesse. 

Un’ulteriore semplificazione derivante dal mito del salvatore bi4nco consiste nelle numerose frasi del tipo “non hanno nulla ma sorridono sempre / sono gentili”. In realtà, la popolazione locale potrebbe essere spinta da infinite motivazioni dietro il sorriso che rivolgono all3 bi4nch3, ricordiamo sia l’effetto turbante di questa presenza nel campo, sia che in molti Stati chi ha caratteristiche caucasiche è considerat* come il modello estetico a cui riferirsi – in quanto essere umano che ha maggiori agiatezze economiche e sociali

COSA POSSIAMO FARE?

Ricordare i propri privilegi ogni giorno può essere un modo per astenersi da atteggiamenti razzisti e neo-coloniali. Io lo faccio ogni mattina e mi rendo conto dei grandi benefici che questa consapevolezza mi dà nella mia vita!

Il processo di decostruzione è lungo. Il primo passo da dover fare è riconoscere il proprio privilegio e cercare di non fare parte di associazioni che trasmettono l’idea del salvatore. Prima di andare a fare volontariato o progetti all’estero, guardate bene quale sia la natura della compagnia benefica. Siate volenteros3 di intraprendere un percorso del genere, ma fatelo solo se avete strumenti utili per collaborare seriamente con le persone locali, se non sapete o non avete mai insegnato, non fatelo, perché sarebbe disfunzionale sia per voi che per loro. Scegliete associazioni che collaborano con entità locali, connesse a progetti durevoli e seri. 

Accorgersi del privilegio è un modo per evitare il viaggio consumistico, quello mordi e fuggi che ha solo scopi ostentativi e non sicuramente conoscitivi. Prendetevi tempo per esplorare un luogo, assaporatelo, sempre però con la consapevolezza di essere bi4nch3 o divers3 rispetto alla maggioranza della popolazione, quindi elemento turbante per essa. Non credo alle persone bianche che dicono di essere come le popolazioni BIPOC, è un’affermazione inutile e superficiale, perché non sarà mai così. Poiché le basi storiche-culturali sono nettamente diverse, già il privilegio di prendere un aereo è, per molta gente BIPOC, impossibile. Anche studiare le basi di antropologia può facilitare questa decostruzione. 

Non fate foto a minorenni e, se lo volete fare, tenetevi le foto per voi o oscurate le facce de3 bambin3. 

Non pensate che avreste potuto pensare meglio/fare meglio quella cosa che vedete, perché affermazioni del genere nascondono atteggiamenti razzisti e di presunta superiorità culturale, legati inevitabilmente al passato coloniale. Per di più, la popolazione locale ha il diritto di autodeterminarsi e poi anche un po’ di sana umiltà non farebbe male ogni tanto. 

Ricordate, in ogni momento, come un mantra, i vostri privilegi. 


BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

WHITE SAVIOUR: THE WHITE MAN’S BURDEN

Written by Natasha Fontana
Translated by Giuli, Sophie

Take up the White Man’s burden – 
The savage wars of peace – 
Fill full the mouth of Famine
And bid the sickness cease;
And when your goal is nearest
The end for others sought,
Watch sloth and heathen Folly
Bring all your hopes to nought.

Kipling, The White Man’s Burden, 1899

How many times we hear phrases like “they are living like us 200 years ago” or “we (white population) did good by bringing them some healthy civilization”? And how many times have we seen on social media pictures of children staring into the camera – sometimes surrounding smiling white people? These white people are those who obsessively post this kind of pictures to move the hearts of their followers and to boost their ego excessively.

But what’s behind all of this? There isn’t much discussion around it in Italy, but this phenomenon is known as white saviourism. This behavior is carried out by white people who, in deeming their actions as missionary, civilizing and indispensable, want to help the southern world population which is embodied in the imagery found in Kipling’s previously mentioned poem The White Man’s Burden.

According to this appalling literary work, white people are the ones who are going to save populations – in this case of the African continent – from destruction and poverty.

This behavior deeply stems from colonial times during which people from the south of the world were seen as crystallized  in a “primitive” horizon and as if without external help they would have remained in that state of underdevelopment. Accordingly, there ought to be the intervention of a white person for them to evolve. This kind of thought laid the foundations from which all the justifications for conquering and enslaving foreign populations were born. Nowadays this superiority attitude which tries to banalize other cultures isn’t so explicit, it’s way more silent though equally rooted in the mind of a self-proclaimed “civilized” society and the highest expression of this – paradoxically hypocritical –  happens when a white person travel to the south of the world to collaborate with volunteering projects.

This life-changing experience is supported by daily posts about what they’re doing, which are driven in the majority of cases by deep egoism and exhibitionism. These people lever the compassionate reactions of their followers forgetting, however, something important – actually fundamental – because these mechanisms have a neo-colonial nature. From these behaviors we notice the invisibility of the BIPOC person, robbed of their humanity and silenced in their individuality and ability to speak. Let’s take a look at the behavioral patterns of white saviourism and how to prevent them. 

PICTURES OF MINOR FROM THE OTHER SIDE OF THE WORLD WITHOUT THEIR CONSENT ? NO, THANK YOU!

The asymmetrical power becomes clear if we look at pictures and videos which depict minors without their consent. The white person who visits poor countries feels free to post – to broadcast their compassionate demeanor – pictures/videos of minors without the consent of their parents, at the mercy of hundreds, or worse, thousands of followers who congratulate the traveler for having such a big heart. Let’s see the situation from another point of view to see how unpleasant it is: a foreigner visits an Italian city and starts taking numerous pictures of the population, focusing on the children and without asking for their parents’ consent. Don’t you find it a little weird? As a matter of fact, taking pictures of minors without their consent is a crime in Italy. Why do we feel entitled to do it in other countries? Because we partake in the asymmetrical relationship between our culture and another, where the latter is silently regarded as inferior. This is why we feel free to do in other countries what in ours would be unacceptable.

In many cases we witness the spectacularization of poverty, also known as poverty porn, in which this situation of hardship is trapped in the camera lens of privileged people as a guarantee of “an authentic indigenous experience”, without falling into “tourist-like” mechanisms. This kind of showcasing, which is in my opinion the most vulgar form there is, forever takes away the voice of a person who perhaps does not want to be portrayed in such difficult conditions, since it strips them of all dignity and dehumanizes them.

Djarah Kan, an Italian-Ghanaian writer, wrote in this regard: “In many African cultures, showing one’s poverty is a great shame. Saying you need financial help is a great shame. Not having money to dress and send your children to school is a great shame.” Dehumanization sticks to people forever, just like a photograph or a stupid video clip to get likes.

Poverty porn is employed by charities. How many times have we seen ONG pictures of malnourished children? These have often sympathetic captions, which however show explicitly the assumed cultural superiority of who has taken the pictures. Without giving space to the person in the picture, we are dehumanizing and silencing them. Moreover, raw and violent pictures will only desensitize the audience to these tragedies because, if shown everyday, they become almost normalized and then forgotten. And if these images are forgotten, so will the populations. I believe we should sensitize privileged people in other ways, through quotes or stories, rather than using pictures of people in drastic conditions.

What these phenomena have in common is that the portrayed human beings are being exposed, with or without their consent, while we’re watching. This immobility is sadly reminiscent of what happened in world’s fairs, where victims were forced to be on display for the gaze of privileged European people. We must remember how these deeply racist and settler-like behaviors of the past echo what we see on social media today. The non-consensual photographs of children, elderly people and more become proof of how much we still cling to this ideology. Other populations are not a tourist attraction. Enough with these attitudes.

What unfortunately shines through from these practices is the invisibility and failure to talk to BIPOC people, who are shown to the public as de-personalized, without any subjectivity.

WE’RE BOTH THE OBSERVER AND THE OBSERVED

The attitude propelled by white saviourism is built in the conviction of being able to recognise, from a white person’s perspective, what is best for BIPOC communities, without truly understanding the socio-cultural mechanisms entailed in our sensemaking. How many times have we heard phrases like: “why don’t these people… (followed by an action/behavior of our society)? The answer is very simple: because those people have different ways of thinking and socializing, they make their own choices that don’t always fit the Western standard.

The alleged white superiority over other populations generates neo-colonial controversies that, as I said before, bring about a duality between civiliser and those who must be civilized. If we think that, even for a second, we’re participating in ideologies that have caused deaths, violence in many forms and even environmental destruction

We will see how “grasping the native’s point of view” is an impossible goal, especially if achieved by a privileged white person.

We think these populations aren’t driven by hereditary cultural choices as we are, we see them as crystallized production in a condition of atemporality, therefore without the possibility of developing (and our idea of development is fallacious because we regard it as such only if it follows our historical path). We must think before we speak because the local population will surely know their surroundings best and know how to utilize them in the best way according to their cultural perspective. Furthermore, these statements don’t take into consideration what I think is essential: our weight in a society that isn’t ours and how in these distant places the asymmetrical relationships between white and BIPOC people can be clearly seen.

The former do not realize how disturbing their presence is for the local population, therefore their desire to see “the real culture” is usually a mere illusion. Native people instead observe us and see how we relate to each other.

The most important turning point in the field of anthropology was implemented by Bronislaw Malinowski in 1922 during his study on the Trobriand populations of Papua New Guinea. He began to understand how important it was to highlight his own presence in his fieldwork. In fact, he claimed that he wasn’t the only one observing, but that he – being a “disturbing” element – was being observed too. Anthropological observation no longer consisted of a (white) subject observing a BIPOC population, but the process revealed a multifaceted interaction between two subjects observing each other. Moreover, there is confirmation that a complete identification with another culture is impossible, since there are social, cultural and historical values that can never be grasped by a privileged person or someone not belonging to that culture.

The asymmetric relationships I am talking about can manifest in several ways: it’s not just taking pictures, but also the acceptance of volunteers or collaborators carrying out tasks that they are not prepared for and that, in Europe for example, require certifications. The most common example is teaching. How many white people without qualifications have we seen travelling to the other side of the world to teach underprivileged children? The wheel perpetually spins, making it clear how people from rich areas can do what they want in difficult areas, even without having the basic requirements. So, first of all we must ask ourselves: do I really want to help these children or is it just a reflection of the desire to be seen as a “saviour” of unprivileged areas? I recommend watching the HBO series Savior Complex, about the biography of Renee Bach who, driven by neo-colonial humanitarian desire, moved to Uganda, where she founded a food distribution center and a medical facility of which she became, of course, the director. Up to this point, nothing unusual, but what if I told you that she had no training in the medical field? And that she tried to cure many children without any medical experience? Her total unpreparedness caused the deaths of more than a hundred of them. The blame falls on the woman, but also on the profoundly white-centric system that allowed this to happen.

Another simplification from the myth of the white saviour consists in the numerous phrases such as “they smile even though they have nothing / they are kind“. Actually, the local population could have infinite motivations behind the smile they address to white people – let’s not forget the disturbing effect of the presence in the fieldwork – and  that in many areas those with Caucasian characteristics are considered the aesthetic model to refer to – since they represent the human being who has greater economic and social comforts.

WHAT CAN WE DO?

Reminding yourself of your privileges every day can be a way to refrain from racist and neo-colonial attitudes. I do it every morning and I see the great benefit that this awareness has brought to my life!

The process of deconstruction is long. The first step to take is to recognize one’s privilege and try not to be part of associations that convey the idea of the white saviour. Before volunteering or participating in projects abroad, take a good look at the nature of the charity. Be willing to undertake such a path, but do it only if you have useful tools to collaborate with local people. If you don’t know how to teach and you’ve never done it, don’t do it, because it wouldn’t be beneficial for either of you. Choose associations that collaborate with local realities, connected to long-lasting and serious projects.

Taking note of your privilege is a way to avoid the consumerist journey, the hit-and-run that has only ostentatious purposes and definitely not cognitive ones. Take time to explore a place, savor it, while being always aware of your whiteness or dissimilarity compared to the majority of the population, therefore a “disturbing” element for it. I don’t believe white people who present themselves as equal to BIPOC populations, not only because it’s a useless and superficial statement, but also because it can never be true. Since the historical-cultural foundations are markedly different, even taking a plane is a privilege that many BIPOC people can’t afford. Studying the basics of anthropology can also facilitate this deconstruction.

Do not take photos of minors and, if you want to do so, don’t share them or hide the minors’ faces before posting them.

Don’t think that you could have thought/done something better while you’re among BIPOC populations, because such statements hide racist attitudes and presumed cultural superiority, inevitably linked to the colonial past. Furthermore, the local population has the right to self-determination and some healthy humility wouldn’t hurt every now and then.

Remember, everyday, like a mantra, your privileges.


BIBLIOGRAPHY AND SITOGRAPHY

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Translate »