di Sofia Dora Bolaños Campbell
(English below the cut)
Avete sentito parlare di Bibbia o Corano giusto? Ma del Kebra Nagast? Forse no. Incredibilmente, il Kebra Nagast (pronuncia corretta: Kebre Neghest) è come se li racchiudesse in parte entrambi, e non solo. Di cosa si tratta, quindi? In amarico, la lingua etiope, Kebra Nagast significa Gloria dei Re ed è il testo sacro più importante dell’Etiopia, redatto tra il IV e il VI secolo d.C. Il contenuto è tratto principalmente da testi ebraici dell’Antico Testamento, alcune parti del Corano, Vangeli cristiani, scritti sacri dell’Ortodossia etiope Tewahedo e leggende copte egiziane. Il testo è composto da 117 capitoli e narra le origini della dinastia salomonica fino ad arrivare agli imperatori etiopi.
L’episodio più significativo è quello dell’incontro tra Makeda, la Regina di Saba (antico nome dell’Etiopia) e il Re d’Israele Salomone. Makeda si reca presso Gerusalemme per incontrare Salomone, affascinata dalle sue virtù, e insieme concepiscono un figlio, Menelik. La Regina di Saba decide che avrebbe smesso di professare il culto del sole per convertirsi al credo di Salomone, ovvero quello del Dio d’Israele, passando quindi da una fede africana arcaica a un monoteismo di stampo biblico. Raggiunti i ventidue anni, Menelik decide di andare a visitare il padre per chiedergli un pezzo dell’Arca dell’Alleanza, in modo che anche il suo popolo la potesse venerare. Salomone lo accoglie e gli offre di regnare al suo fianco, ma, apprendendo l’intenzione di Menelik di tornare in patria, decide prima di incoronarlo Re d’Israele e d’Etiopia (dando così origine alla tradizione dei Negus etiopi) e poi insiste nel farlo accompagnare nella sua terra dai primogeniti dei saggi d’Israele. Questi ultimi non vogliono lasciare Gerusalemme senza l’Arca dell’Alleanza e decidono di rubarla sostituendola con una copia. A questo punto parte il viaggio dell’Arca verso l’Etiopia, dove si crede che si trovi ancora oggi presso la città di Aksum.
L’importanza di questo aneddoto spiega il collegamento tra il popolo d’Israele e quello etiope, il quale, entrato in possesso dell’Arca dell’Alleanza, diventa il nuovo “popolo eletto da Dio”. Si evince quindi che la dinastia che parte con Menelik e finisce col noto Haile Selassie I, eletto imperatore d’Etiopia il 2 novembre 1930, sia di discendenza salomonica.
La prima traduzione completa del Kebra Nagast risale al 1922, grazie al lavoro di Sir E.A.Wallis Budge, professore di storia ebraica a Cambridge che lo traduce in lingua inglese. Non esistono precedenti edizioni in italiano (fino al 2007) poiché gli argomenti trattati erano scomodi alla Chiesa cattolica; d’altra parte ammettere che i re africani avesserodiscendenza biblica e che l’Etiopia fosse la terra eletta da Dio dopo Israele non era lontanamente concepibile per il Vaticano. Difatti, alcune sezioni omesse dalla Bibbia di Gerusalemme appaiono nella tradizione ortodossa etiope che le riporta nel Kebra Nagast (tra cui, appunto, la relazione tra Makeda e Salomone e la nascita di loro figlio). Questo testo sacro svela in realtà una vicenda occulta (o occultata?) in secoli di storia dell’umanità. Ci troviamo quindi di fronte all’ennesimo caso di appropriazione culturale e colonialismo: non dimentichiamoci che l’Italia tentò di invadere l’Impero di Etiopia nel 1935 sotto la dittatura di Mussolini. Ma questa è un’altra storia, diversa da quella che voglio raccontare qui.
Cosa c’entra la Giamaica, quindi? Beh, molto. Il Kebra Nagast arriva sull’isola caraibica a fine 1800, dopo l’abolizione della schiavitù, e inizia a circolare grazie alle prediche dei sacerdoti della Chiesa ortodossa etiope e successivamente con la traduzione del 1922. Ci troviamo agli albori del Rastafari: una religione, una filosofia di vita, una cultura, un movimento le cui radici affondano proprio in Etiopia.
All’inizio del ventesimo secolo si sviluppa in Giamaica un movimento nazionalista conosciuto col nome di Etiopismo, il cui principale esponente, lo scrittore giamaicano Marcus Garvey, attraverso la lettura della Bibbia “profetizza” la venuta di un re africano che avrebbe reso possibile il ritorno in patria di coloro che avevano fatto parte della Diaspora Nera, scacciando i colonizzatori bianchi. Nel 1930, uno dei principali seguaci di Garvey, il predicatore etiopista Leonard Howell, riconobbe nell’ascesa al trono di Haile Selassie I l’avverarsi della profezia, così il Rastafari iniziò a diffondersi. La sua diffusione su scala mondiale avvenne però grazie alla musica reggae e a Bob Marley, mitico portavoce di questa cultura ancestrale.
Facendo un passo indietro, viene spontaneo chiedersi come mai questo testo sacro sia di così grande rilevanza per la cultura Rastafari. Dopo l’incoronazione nel 1930 di Haile Selassie I, nato Tafari Makonnen, a cui fu aggiunto il titolo Ras, “capo”, i credenti del Rastafari iniziarono a vedere in lui Gesù nella sua seconda venuta, l’incarnazione di Dio in terra. Non bisogna dimenticare che Haile Selassie era il diretto discendente della dinastia salomonica.
La chiave di lettura sta proprio qui: il popolo eletto da Dio è quello etiope, secondo le scritture – quelle non occultate dalla cultura occidentale, ovviamente. Arriva a questo punto spontanea la conclusione che l’Africa sia la terra promessa secondo i Rasta.
La quantità di informazioni reperibili a riguardo è davvero ampia, ma il Kebra Nagast rimane ad oggi poco conosciuto in correlazione al movimento Rastafari, mentre in realtà è fondamentale prendere coscienza del fatto che questa cultura afrocentrica potrebbe ribaltare la società come la conosciamo oggi.
Ecco, il Rastafari si può iniziare a spiegare da qui. Non è una religione “standard”, se così la vogliamo definire, è un credo che ha origine in una terra in cui la spiritualità assume caratteristiche uniche al mondo.
Parlare del Rastafari come di religione “peculiare” è importante perché, al contrario di altre religioni monoteiste, non dispone di insegnamenti e dottrine rigide, tantomeno di luoghi di culto. Inoltre stiamo parlando di un credo recente, che non ha nemmeno un secolo di storia. In che Dio credono i Rasta, quindi? Andiamo con ordine, partendo dalle basi: spesso nel reggae si sente nominare Jah, e probabilmente molte persone si sono chieste chi o cosa fosse. Jah è Jahvè, ovvero il Dio d’Israele reincarnato – secondo i Rasta – in Haile Selassie; Jah appare nell’Antico Testamento come il nome proprio di Dio. Nella discografia dei più importanti cantanti reggae lo troverete sicuramente nominato come portatore di amore, pace, forza e insegnamenti di vario genere. Prendiamo come esempio Forever Loving Jah di Bob Marley:
Some they say see them walking up the street
They say we’re going wrong to all the people we meet
But we won’t worry, we won’t shed no tears
We found a way to cast away the fears,
forever, yeah!
We’ll be forever loving Jah!
Il Rastafari è anche un modo di vedere e di vivere la vita. Sempre passando dalla musica, che è uno dei veicoli più importanti di questa cultura, troviamo due concetti opposti che creano un’antitesi molto forte se la applichiamo alla società odierna: Zion e Babylon. Altre due parole molto ricorrenti nel reggae, che possono suscitare curiosità. Partiamo da Zion con un estratto di Zion Train di Bob Marley:
Which man can save his brother’s soul?
Oh man, it’s just self control
Don’t gain the world and lose your soul
Wisdom is better than silver and gold
To the bridge
Oh, where there’s a will
There’s always a way
Soul train is coming our way
Zion train is coming our way
Zion – ça va sans dire – è proprio l’Etiopia, la nuova Gerusalemme, la terra promessa che conserva l’Arca dell’Alleanza. A Zion appartiene un simbolismo sostanzialmente positivo, rappresentato dalla libertà e dalla pace. Al contrario, Babylon rappresenta il mondo occidentale governato dai vizi e dal denaro, oggi potremmo dire che la società capitalistica ed estremamente produttiva è la quintessenza di Babylon, che sta a simboleggiare il male assoluto. In Chant Down Babylon, Bob Marley esordisce così:
Come we go burn down Babylon one more time
E continua così:
Men see their dreams and aspiration
Crumble in front of their face
And all of their wicked intention
To destroy the human race
I due testi presi in analisi sono la rappresentazione perfetta di questa opposizione che, se analizzata nel profondo, invita a riflettere sull’attualità in modo quasi disarmante, specialmente se pensiamo che il Rastafari prende avvio negli anni Trenta del 1900. Incredibile, vero?
Ma il Rastafari è anche movimento, lotta (pacifica), amore, liberazione, presa di consapevolezza. I Rasta, che hanno coscienza del loro passato in maniera unica, desiderano riportare l’Africa a uno stato di dignità. La schiavitù ha fatto sì che si venisse a creare la Diaspora Nera, ovvero il trasferimento coatto di persone dall’Africa verso altri continenti a scopo di puro sfruttamento. Burning Spear nella sua canzone The Invasion canta:
They take us away from Africa
With the intention to steal our culture
Si può quindi affermare che il Rastafari si pone come cultura afrocentrica che si vuole riappropriare degli spazi che gli sono stati portati via dalla supremazia bianca in secoli di storia. Le modalità con cui intende farlo sono quelle della pace, dell’amore e dell’unità.
One Love, d’altra parte.
Le cose da dire riguardo a questa bellissima cultura sono tante e spesso è difficile spiegarle con concetti semplici. Studiare con umiltà questo insieme di credenze è un buon punto di partenza: il viaggio – verso Zion – comincia così.
Letture consigliate per approfondire:
- Rastafari, from outcasts to culture bearers, Ennis Barrington Edmond.
- Kebra Nagast, La Gloria dei Re. Bibbia Rastafari, Lorenzo Mazzoni.
Between Ethipia and Jamaica, from Kebra Nagast to Rastafari
Written by Sofia Dora Bolaños Campbell
Translated by Veronica Fanzio
Have you heard before of the Bible or the Quran? What about the Kebra Nagast? Maybe not. Incredibly, the Kebra Nagast (pronounced correctly as Kebre Negest) is like it encloses partially both, and not only. So, what is it about? In Amharic, the Ethiopian language, Kebra Nagast means “Glory of the Kings,” and it is the most important sacred text of Ethiopia, compiled between the IV and VI centuries AD. Its content is primarily drawn from the Hebrew texts of the Old Testament, some parts of the Quran, Christian Gospels, sacred writings of the Ethiopian Orthodoxy, Tewahedo, and Egyptian Coptic legends. The text consists of 117 chapters and narrates the origins of the Solomonic dynasty up to the Ethiopian emperors.
The most significant episode is the encounter between Makeda, the Queen of Sheba (an ancient name for Ethiopia), and the King of Israel, Solomon. Makeda travels to Jerusalem to meet Solomon, fascinated by his virtues, and together they conceive a son, Menelik. The Queen of Sheba decides to abandon the worship of the sun to convert to Solomon’s creed, that is to say, the God of Israel, transitioning from an ancient African faith to a biblical monotheism. When Menelik reaches twenty-two years of age, he decides to visit his father to request a piece of the Ark of the Covenant so that his people could also venerate it. Solomon welcomes him and offers him the opportunity to reign alongside him. However, upon learning Menelik’s intention to return to his homeland, Solomon first crowns him as King of Israel and Ethiopia (thus originating the tradition of Ethiopian Negus) and insists on sending him back accompanied by the firstborn sons of Israel’s wise men. The latter does not want to leave Jerusalem without the Ark of the Covenant and decides to steal it, replacing it with a replica. At this point begins the journey of the Ark to Ethiopia, where it is believed to still be found today near the city of Aksum.
The significance of this anecdote explains the connection between the people of Israel and the Ethiopian people, who, upon acquiring the Ark of the Covenant, become the new “chosen people of God.” It is evident, therefore, that the dynasty starting with Menelik and ending with the renowned Haile Selassie I, crowned Emperor of Ethiopia on November 2, 1930, is of Solomonic descent.
The first complete translation of the Kebra Nagast dates back to 1922, thanks to the work of Sir E.A. Wallis Budge, a professor of Jewish history at Cambridge University, who translated it into English. There were no prior editions in Italian (until 2007) because the topics covered were uncomfortable for the Catholic Church; indeed, admitting that African Kings had biblical descent and that Ethiopia was the chosen land of God after Israel was remotely inconceivable for the Vatican. In fact, some sections omitted from the Jerusalem Bible appear in the Ethiopian Orthodox tradition, which is recorded in the Kebra Nagast (including the relationship between Makeda and Solomon and the birth of their son). This sacred text reveals a hidden (or concealed?) story in centuries of human history. We are thus facing yet another case of cultural appropriation and colonialism: let’s not forget that Italy attempted to invade the Ethiopian Empire in 1935 under Mussolini‘s dictatorship. But that’s another story, different from the one I want to tell here.
So what does Jamaica have to do with this? Well, quite a lot. The Kebra Nagast arrived on the Caribbean island in the late 1800s, after the abolition of slavery, and began to circulate thanks to the preaching of priests of the Ethiopian Orthodox Church and subsequently with the 1922 translation. This marks the dawn of Rastafari: a religion, a philosophy of life, a culture, a movement whose roots lie precisely in Ethiopia.
At the beginning of the twentieth century, a nationalist movement known as Ethiopianism developed in Jamaica, led by the Jamaican writer Marcus Garvey, who, through reading the Bible, “prophesied” the coming of an African king who would make possible the return home of those who had been part of the Black Diaspora, expelling the white colonizers. In 1930, one of Garvey’s main followers, the Ethiopian preacher Leonard Howell, recognized in Haile Selassie I’s ascension to the throne the fulfillment of the prophecy, and thus Rastafari began to spread. Its global spread, however, occurred thanks to reggae music and Bob Marley, a legendary spokesperson for this ancestral culture.
Taking a step back, one naturally wonders why this sacred text is of such great relevance to Rastafari culture. After the coronation in 1930 of Haile Selassie I, born Tafari Makonnen, to which the title Ras, “chief,” was added, Rastafari believers began to see him as Jesus in his second coming, the incarnation of God on earth. One must not forget that Haile Selassie was a direct descendant of the Solomonic dynasty.
The key to understanding lies right here: the people chosen by God are the Ethiopians, according to the scriptures – those not obscured by Western culture, of course. It therefore naturally leads to the conclusion that Africa is the promised land according to the Rastas.
The quantity of information available on this topic is indeed extensive. The Kebra Nagast remains relatively unknown today concerning the Rastafari movement. In reality, it is crucial to realize that this Afrocentric culture could potentially revolutionize society as we know it today.
Now, we can explain Rastafari from here. It is not a “standard” religion if we want to define it as such; rather, it is a belief born in a land where spirituality takes on unique characteristics unlike anywhere else in the world.
Talking about Rastafari as a “peculiar” religion is important because, unlike other monotheistic religions, it does not have rigid teachings or doctrines, nor specific places of worship. Furthermore, we are talking about a relatively recent belief system, with less than a century of history. So, whom do Rastas believe in? Let’s start from the basics: often in reggae music, you hear the name Jah, and many people have probably wondered who or what Jah is. Jah is Jahveh, or the God of Israel reincarnated – according to Rastas – in Haile Selassie; Jah appears in the Old Testament as the proper name of God. In the discography of the most important reggae singers, you will surely find Jah mentioned as a bearer of love, peace, strength, and various teachings. Let’s take Forever Loving Jah by Bob Marley as an example:
Some they say see them walking up the street
They say we’re going wrong to all the people we meet
But we won’t worry, we won’t shed no tears
We found a way to cast away the fears,
forever, yeah!
We’ll be forever loving Jah!
Rastafari is also a lifestyle. Continuing with music, which is one of the most important vehicles of this culture, we encounter two opposing concepts that create a strong antithesis when applied to today’s society: Zion and Babylon. These are two very recurrent words in reggae, which can get people curious. Let’s start with Zion with an excerpt from Zion Train by Bob Marley:
Which man can save his brother’s soul?
Oh man, it’s just self-control
Don’t gain the world and lose your soul
Wisdom is better than silver and gold
To the bridge
Oh, where there’s a will
There’s always a way
Soul train is coming our way
Zion train is coming our way
Zion – it goes without saying – is Ethiopia itself, the new Jerusalem, the promised land that holds the Ark of the Covenant. Zion embodies a substantially positive symbolism, representing freedom and peace. In contrast, Babylon represents the Western world governed by vices and money; today, we might say that a highly productive capitalist society epitomizes Babylon, symbolizing absolute evil. In Chant Down Babylon, Bob Marley begins like this:
Come we go burn down Babylon one more time
And continues:
Men see their dreams and aspirations
Crumble in front of their face
And all of their wicked intention
To destroy the human race
The two texts analyzed are the perfect representation of this opposition which, when deeply scrutinized, invites reflection on current events in an almost disarming way, especially considering that Rastafari began in the 1930s. Incredible, isn’t it?
But Rastafari is also a movement, a (peaceful) fight, for love, freedom, and awareness. Rastas, are uniquely aware of their past, and they desire to restore Africa to a state of dignity. Slavery resulted in the Black Diaspora, the forced transfer of people from Africa to other continents for pure exploitation purposes. Burning Spear in his song The Invasion sings:
They take us away from Africa
With the intention to steal our culture
It can therefore be said that Rastafari presents itself as an Afrocentric culture that seeks to reclaim spaces taken away by white supremacy over centuries of history. The means by which it intends to do so are through peace, love, and unity.
One Love, after all.
We can say lots of things about this mesmerizing culture and often it is difficult to explain them with simple concepts. A good starting point is studying this assemblage of beliefs with humility: the journey – to Zion – starts here.
Suggested readings:
- Rastafari, from Outcasts to Culture Bearers – Ennis Barrington Edmond.
- Kebra Nagast, La Gloria dei Re. Bibbia Rastafari – Lorenzo Mazzoni.
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