UNA DIVERSA FORMA DI OGGETTIFICAZIONE DEI CORPI FEMMINILI E AFAB

CONTENT WARNING: Di seguito riportiamo alcune testimonianze di episodi di violenza ginecologica subiti da persone del nostro collettivo. Pensiamo che il fatto che così tant3 di noi abbiano avuto esperienze simili, pur in un campione di popolazione così ristretto, sia estremamente significativo. Nei testi a seguire sono riportati episodi di violenza fisica e psicologica, razzismo e grassofobia – se non ve la sentite di leggere, potete saltarli e passare direttamente al corpo dell’articolo.

Due anni fa mi è stata diagnosticata l’endometriosi. Sono stata fortunata, perché non ho sintomi dolorosi e perché normalmente la malattia viene diagnosticata a uno stadio avanzato, dopo un decennio di gaslighting medico sul dolore che provoca. Meno fortunata sono stata per il comportamento del ginecologo che mi ha fatto la diagnosi; senza darmi spiegazioni sulla malattia o su ciò che avrei dovuto affrontare, come cura mi ha consigliato di avere almeno quattro gravidanze nel corso della mia vita. Ho cambiato ginecologo, ho scelto una donna, stavolta, sperando di trovare una maggiore empatia. Sono stata delusa; niente gravidanze prescritte come cura, stavolta, ma molta confusione, pochissime spiegazioni, nessuna rassicurazione. Ho chiesto consiglio a una psicologa della mia città specializzata in endometriosi e dolore cronico: ci sarà pure un* brav* ginecolog* in città, capace di trattare la patologia con competenza e umanità? Risposta: no. Non c’è. Abito in una grande città italiana, non in un paesino di provincia. La mia patologia – che nella maggior parte dei casi provoca dolore e disagio molto maggiori di quelli che provoca a me – non è ancora abbastanza studiata; non esiste un percorso terapeutico standard, si procede a tentativi, un po’ a caso. Ci si sente prescrivere le gravidanze come fossero una medicina. Ci si sentono proporre trattamenti “olistici”, basati sull’alimentazione, che nella maggior parte dei casi non sono altro che una colpevolizzazione grassofobica e scientificamente infondata dell* paziente. Si stima che almeno una persona con utero su dieci abbia questa patologia. Siamo abbandonat* a noi stess*.

(Donna cis bianca bisessuale, 30 anni)

Quando avevo più o meno sedici anni avevo dei problemi di incontinenza, che erano piuttosto strani vista l’età. Il mio medico mi mandò a fare un tampone cervicale all’ospedale. Appena entrata mi accoglie un’ostetrica. Ero con mia sorella che ha vent’anni più di me e mi accompagnava. Questa donna comincia a farci un sacco di domande, “Un tampone cervicale a questa età, ma che problemi hai, ma l’incontinenza ora non è possibile, ma a che serve…”. Io ero scioccata, era la prima volta che facevo una qualsiasi visita ginecologica e mi mettevo su un lettino. Comunque, mia sorella la spinge a fare come da richiesta medica, che se il mio dottore lo aveva richiesto lei non poteva sapere (mia sorella) il motivo specifico non essendo medico. Mi metto su questo lettino, lei super rude e io già in ansia dato come ci aveva accolte. Inizia a fare questo tampone e io sento malissimo, un bruciore assurdo, comincio a chiederle di fermarsi e lei non lo fa ma spinge di più. E ci sono io che cerco di scappare dagli appoggi per le caviglie e lei che continua. Questo episodio mi ha segnata per tutta l’età adulta, sviluppando la fobia di fare una visita ginecologia e anche per quanto riguarda il sesso penetrativo. Ho dovuto passare anni in terapia con una sessuologa.

(Donna cis bianca bisessuale)

Circa otto anni fa, soffrivo di problemi di irregolarità mestruale (che a momenti, ma con meno incidenza, si verificano tuttora) a causa del mio passato di disturbi alimentari. Stanca di non avere più le mestruazioni, preoccupata soprattutto per le conseguenze a livello osseo, decido di andare dalla ginecologa. Mia madre, quando le espongo questa idea, prende appuntamento con una dottoressa da cui era andata qualche tempo prima, rassicurandomi che fosse molto gentile e dolce nei modi.
Il giorno della visita, improvvisamente, le mestruazioni arrivano. Io avevo tanta paura, avendo avuto un rapporto sessuale disastroso in precedenza e spaventata dall’idea della penetrazione. Nel frattempo, mia madre il mese prima aveva anche avuto un infarto, me ne stavo ancora prendendo cura data la degenza a casa, perciò ero un fascio di nervi all’epoca.
Entrata nello studio della ginecologa (da sola, per mia esplicita richiesta a mia madre), le dico dei miei problemi di irregolarità e che però quel giorno le mestruazioni mi erano tornate, perciò non volevo essere visitata. Lei mi risponde (correttamente) che può farlo comunque. Assieme a lei c’era un’assistente (della cui presenza non ero al corrente e a cui non ero stata presentata).
Titubante, mi stendo sul lettino e apro le gambe. Prova a penetrarmi con lo strumento (non so come si chiama) e io avverto dolore, perciò grido. Ci riprova una seconda volta, ma niente, io continuo a gridare. A quel punto lei sbuffa, la sua assistente pure, perciò, snervata, mi dice che non riesce a visitarmi perché io mi lamento troppo e sono ingestibile.
Allora usciamo entrambe dallo studio, la ginecologa, senza chiedermi il consenso, va da mia madre, le dice che grido, sono rigida e non può visitarmi, mi prescrive (a scatola chiusa) dell’acido folico – con cui io mi bombardo, inutilmente, per un anno. Il tutto davanti al resto de* pazient* in sala d’attesa. 

Dopo questo, non sono più riuscita a entrare nello studio di un* ginecolog* o di un* ostetric* per anni, l’ho dovuto fare solo per il PAP test e l’HPV test, necessari a causa di un contatto con una persona positiva, e una mia esplicita necessità di comprendere se la mia salute sessuale fosse nella norma. Questi ultimi tre momenti, in cui sono stata trattata decentemente e con cura e consenso, mi hanno fatto riguardare quell’esperienza precedente con occhi diversi, comprendendo che non era stata colpa mia. 

(Donna bianca cis nello spettro asessuale, 27 anni)

Non ho un rapporto facile con ostetriche e ginecologhe (uso il femminile sovraesteso ma anche perché la violenza ostetrica è venuta solo da donne). La mia vulvodinia è cominciata che avevo 16/17 anni, un dolore che non riuscivo a comprendere e per il quale ho chiesto molti consulti. Le risposte sono state sempre negative: chi sbuffava di fronte alla mia insistenza, chi diceva che era tutto nella mia testa, chi mi diceva di bere o cambiare fidanzato. Sono passati così anni, durante i quali mi sono dovuta abituare al dolore (non che ci si abitui mai, ma lo accetta, anche quando è terribile), fino ad arrivare al 2021. Dopo 9 anni, ricevo finalmente la mia prima diagnosi. La ginecologa mi consiglia una buona ostetrica e comincio una terapia. Quell’anno comincio a curare anche il mio rapporto con il personale sanitario, per poi ricaderci con tutte le scarpe: a fine anno vado da una ginecologa per fare un controllo, dopo averle scritto per mail che soffrivo di vulvodinia e averglielo ripetuto anche a voce pre-visita. Una volta che mi ritrovo nuda, con le gambe aperte e una telecamera puntata addosso, lei mi guarda e comincia ad urlare. Mi fa vergognare di essere andata, dice che non può fare nulla se sono in quelle condizioni, mi fa sentire in colpa e comincio a piangere. La sua collega, nel frattempo, sghignazza. Esco di lì piangendo e senza riuscire a difendermi, e il sito da cui avevo prenotato non mi ha mai permesso di scriverle neanche una recensione negativa. Ad oggi evito come la peste visite ginecologiche, sperando di non essere costretta a farne ancora per un po’.

(Persona bianca enby she/they)

Non sono mai andata dalla ginecologa in Italia, non solo non ne ho mai avuto la forza, ma venivo fermata in partenza dai medici di base, con il loro comportamento, sapevo che dalla ginecologa avrei perso solo tempo.
Ho sempre avuto un ciclo molto abbondante, irregolare, ho sviluppato fibromi uterini in giovane età, non aiutavano, e dal medico di base la risposta era sempre la stessa: “dimagrisci e starai meglio”, oppure “perdi un po’ di ciccia e le mestruazioni faranno meno male”.

Ho perso la verginità molto tardi, e tra i tanti motivi c’era la paura del mio corpo, sapevo che la mia educazione sessuale era alla base, sapevo di aver bisogno di un ginecologo, ma venivo sempre fermata.

“Se sei ancora vergine cosa ci vai a fare dalla ginecologa?” oppure “La ginecologa ti dirà di dimagrire”… era incredibile come ogni cosa, qualunque cosa ritornava al peso, potevo avere mal di denti, male agli occhi, male alle orecchie… devi dimagrire.

“Poi alle persone come te non dovrebbe far male perdere la verginità, voi avete una soglia del dolore più alta, l’avete nel sangue”, oppure “Perché sei ancora vergine? Dalle persone come te, ci si aspetta che la perdano presto, capisci che intendo?”.

 Ah… le persone come me… voi l’avete nel sangue… sì, ho capito cosa intendi.

Quindi no, non ho mai visitato una ginecologa fino ai 29 anni, fino a quando non sono andata a vivere in Regno Unito, ed a 29 anni scopro, o meglio confermo a me stessa, di avere fibromi uterini, una cisti ovarica, e la ginecologa mi chiede di tornare più spesso, perché il mio corpo andava preservato, andava curato. Quando vivevo in Asia c’erano molte campagne di sensibilizzazione per visitare ginecologhe, per lottare contro qualunque cosa potesse diventare anche peggiore col tempo, ricordo ancora come una dottoressa mi disse: “Parlami, non ti devi vergognare”… aveva ragione, non mi dovevo vergognare, ma non ho il coraggio di aprirmi, e di farmi curare.

Mi piacerebbe raccontare la mia esperienza negativa con i ginecologi in Italia, ma per i medici ero troppo grassa per scomodare un collega, e me la sarei cavata comunque, essendo nera, quindi il privilegio di aver visto un ginecologo in Italia non ce l’ho… e forse, leggendo con dolore le esperienze delle mie compagne e sorelle, è stato  meglio così.

(Donna cis nera, grassa, 31 anni)

Qualche anno fa il pap test di routine è risultato positivo, e dopo mesi sono saltati fuori i condilomi quindi erano da rimuovere col laser, una piccola operazione chirurgica ma comunque abbastanza invasiva dato che si trattava di asportare materiale dalla cervice uterina. Mi reco nella clinica per l’intervento poco prima di partire per andare a trovare la mia famiglia in Colombia. Il medico, oltre a farmi sentire a disagio per tutta la durata dell’intervento (ero già in uno stato di forte tensione e il personale continuava a entrare e uscire dalla stanza come se niente fosse mentre io ero a gambe all’aria), mi dà delle raccomandazioni per il post-operatorio tra cui utilizzare sempre il preservativo da lì in avanti… chiedendomi quanti “FIDANZATI” avessi nel mio paese, con quell’aria da uomo bianco occidentale che vede certe culture come promiscue e inferiori. Secondo questo medico in certe zone del mondo si fa più sesso quindi è giusto chiedere a una persona dettagli della sua vita privata per sapere se ha una più alta probabilità di contrarre virus e/o MST. La stessa domanda mi viene posta alla visita di controllo tre settimane dopo, sempre con un tono pieno di repulsione e pregiudizio. Questo è solo uno degli episodi di questo tipo  – il più recente – che mi è capitato. 

(Donna BIPOC cis eterosessuale, 24 anni)

A un certo punto nella vita delle persone con utero, vagina e vulva (siano esse donne cis o persone AFAB) irrompe lei: la visita ginecologica. Ci saranno nella maggior parte dei casi un medico, il lettino con i classici appoggiagambe, le apparecchiature per eseguire ecografie e gli strumenti del mestiere. La cosa che molt* professionist* non sembrano comprendere però, è che in quel momento c’è anche un* paziente,  un essere umano che come tale prova emozioni e sensazioni, specialmente quando si tratta di una visita così delicata e personale. 

La violenza ginecologica comprende tutta quella serie di azioni – fisiche e verbali – che possono rendere l’esperienza della visita un momento traumatico, con la conseguenza che molte persone che la subiscono smettono di eseguire controlli periodici mettendo a rischio la propria salute. La mancanza di tatto ed empatia, la fretta, l’esecuzione meccanica della visita, le domande e le osservazioni poste in modo giudicante fanno sì che l* paziente si senta abusat* fisicamente e psicologicamente. C’è addirittura chi parla di st***o ginecologico nel momento in cui la persona non viene avvisata di ciò che sta per essere fatto sul suo corpo, diritto fondamentale di tutt* al momento di una visita medica. Capita spesso di sentire testimonianze di persone a cui vengono inseriti dispositivi diagnostici in vagina senza essere state informate, creando sensazioni di disagio enormi che hanno risultati deleteri sulla salute mentale. Per non parlare poi delle domande o osservazioni non richieste sulla salute e sulla vita sessuale, oppure la minimizzazione del dolore perché tanto “è normale” e “le donne sono fatte così”. All’apice dello schifo troviamo quelle situazioni in cui persone che non hanno mai avuto rapporti penetrativi si vedono negate la possibilità di fare le visite stesse o i controlli di screening.

I metodi di esecuzione di queste visite sono invasivi, dal momento che vengono inseriti oggetti in vagina a scopo diagnostico. Fra i più conosciuti c’è lo speculum (il dispositivo di plastica o metallo utilizzato per osservare l’interno della vagina), poi la sonda usata per le ecografie transvaginali, il tampone per rilevare, ad esempio, la presenza di infezioni, e infine si potrebbero citare una serie di strumenti per eseguire operazioni chirurgiche come il laser. Anche la posizione da prendere sul lettino può creare imbarazzo e malessere. 

Il corpo delle donne e delle persone AFAB viene trattato come un oggetto inanimato, come carne. L* paziente è colpevole del proprio dolore, di ciò che può o non può venire rilevato nella visita, delle proprie scelte riguardanti la vita sessuale ma anche di quelle riguardanti la gravidanza e la contraccezione. I corpi di tutt* noi sono campi di battaglia sociali e politici – purtroppo – e la violenza ginecologica è l’ennesima espressione di quanto la normalizzazione del dolore vada a ledere la dignità delle donne. Quante tipologie di dolore sono sempre state considerate “normali” mentre in realtà sarebbero da indagare? Quanto questa svalutazione crea danni seri alla salute? Perché alcune patologie, come ad esempio l’endometriosi, hanno un ritardo diagnostico di anni? La risposta a tutte queste domande è sempre la stessa: la visione della donna come una semplice sforna-bambin*. 

Di seguito una grafica di uno studio del 2022 condotto da Unisalute che mostra la prevenzione in ambito ginecologico e andrologico (purtroppo lo studio ha un punto di vista strettamente binario che non include persone trans* ed enby).

Dati alla mano si evince come le donne, nel panorama italiano in questo caso, si sottopongono a meno controlli del dovuto. Ciò può dipendere da una serie di fattori (sociali, economici, etc…) ma anche dalle conseguenze psicologiche che una visita ginecologica può comportare (o ha comportato in passato).  

Nel 2019 il Consiglio d’Europa approva la Risoluzione n. 2306/2019 che riconosce la violenza ostetrica e ginecologica come violenza contro le donne all’interno del quadro normativo della Convenzione di Istanbul. 

Il testo recita:


“[…] Le violenze ostetriche e ginecologiche sono una forma di violenza rimasta nascosta per troppo tempo e ancora troppo spesso ignorata. Nell’intimità di un consulto medico o di un parto, alcune donne sono vittime di pratiche violente o che possono essere percepite come tali. Si tratta di atti inidonei o non autorizzati, come episiotomie o palpazioni vaginali praticate senza consenso, pressioni sul fondo uterino oppure mancato ricorso all’anestesia per interventi dolorosi. Sono anche stati registrati comportamenti sessisti durante le visite mediche.
[…] In alcuni Stati membri del Consiglio d’Europa, sono state lanciate campagne di sensibilizzazione sulle reti sociali e sono state raccolte numerose testimonianze negli ultimi anni. Questa volontà di parlare del problema e questa condivisione di esperienze ha permesso alle donne vittime di violenze ginecologiche e ostetriche di rendersi conto che non si trattava di casi isolati. Queste violenze sono il riflesso di una cultura patriarcale ancora dominante nella società, in particolare nel campo medico. L’Assemblea riafferma il proprio impegno a promuovere la parità di genere in tutti i campi, il che permetterà di prevenire e combattere tutte le forme di violenza inflitte alle donne, comprese le violenze ginecologiche e ostetriche.
[…] La prevenzione e la lotta alle violenze ginecologiche e ostetriche non sono ancora considerate una priorità, ma possono essere promosse pratiche compassionevoli per assicurare un’accoglienza e un’assistenza umana, rispettosa e dignitosa per i/le pazienti e le partorienti. L’Assemblea sostiene pienamente le buone prassi censite dall’OMS e ne incoraggia la diffusione negli Stati membri del Consiglio d’Europa.

Tenuto conto di queste considerazioni, l’Assemblea esorta gli Stati membri del Consiglio d’Europa:
– a prevenire in maniera generale le discriminazioni, qualunque ne sia la motivazione, nell’accesso alle cure e a combatterle;
– ad assicurare che il trattamento nel corso delle visite mediche, delle cure e del parto sia rispettoso dei diritti umani e della dignità umana;
– a chiedere ai ministeri responsabili delle questioni sanitarie e delle pari opportunità di raccogliere dati sulle pratiche mediche utilizzate durante i parti e sui casi di violenze ginecologiche e ostetriche, di realizzare studi su questo tema e renderli pubblici;
– a diffondere buone prassi promosse dall’OMS e a chiedere agli ordini medici nazionali di discutere di questa questione ed elaborare raccomandazioni per prevenire le violenze ginecologiche e ostetriche, in particolare in seno ad una commissione di promozione del trattamento corretto in ginecologia;
– a lanciare campagne d’informazione sui diritti dei/delle pazienti e di sensibilizzazione sulla prevenzione e la lotta al sessismo e alla violenza nei confronti delle donne, comprese le violenze ginecologiche e ostetriche;
– ad adottare e attuare una legge sul consenso informato dei/delle pazienti e sul diritto all’informazione nelle diverse fasi delle procedure mediche, se non è ancora stato fatto;
– a garantire un finanziamento adeguato delle strutture sanitarie per assicurare condizioni di lavoro dignitose al personale curante, un’accoglienza rispettosa e gentile dei/delle pazienti e partorienti e un accesso alle terapie anti-dolore;
– ad assicurare una formazione specifica di ginecologi e ostetriche e a promuovere azioni di sensibilizzazione sulle violenze ginecologiche e ostetriche nel quadro di questa formazione;
– ad assicurare che la formazione di medici, ostetriche e infermieri/e riservi uno spazio importante alla relazione tra il personale curante e i pazienti, alla nozione di consenso informato, alla parità tra uomini e donne, all’accoglienza delle persone LGBT+, delle persone con disabilità e delle persone vulnerabili, alla comunicazione, alla prevenzione del sessismo e della violenza e alla promozione di un approccio umano nelle cure;
– a introdurre meccanismi specifici per fare segnalazioni e sporgere denuncia accessibili alle vittime di violenze ginecologiche e ostetriche all’interno degli ospedali e all’esterno, in particolare presso i difensori dei diritti;
– a prevedere un meccanismo di esame delle denunce di violenze ginecologiche e ostetriche, escludendo qualsiasi mediazione, e a prevedere sanzioni, se non è ancora stato fatto, nei confronti degli operatori sanitari, quando è accertata la fondatezza di una denuncia per questo tipo di violenze;
– a proporre un servizio di assistenza alle vittime di violenze ginecologiche e ostetriche e ad assicurare loro le cure necessarie. […]”

Nonostante il tema della violenza ginecologica sia stato affrontato dalle istituzioni, non sembra ci sia un vero interesse nell’attuare pratiche consapevoli e rispettose durante le visite. Se provaste a chiedere alle donne e alle persone AFAB che conoscete se hanno mai subito violenza ginecologica, che sia fisica o verbale, sicuramente almeno una di loro  risponderebbe affermativamente. Questa tematica dovrebbe essere presa seriamente in carico da chi offre servizi di tipo sanitario in modo da far sentire le donne accolte e non violate in un momento così intimo.

Ancora una volta il corpo delle donne è un oggetto usurpato da una società che lo tratta come merce.

   

TRANSLATION: 

GYNECOLOGICAL VIOLENCE A DIFFERENT FORM OF OBJECTIFICATION OF FEMALE AND AFAB BODIES

CONTENT WARNING: Here are some testimonies of gynecological violence experienced by members of our collective. We believe that the fact that so many of us have had similar experiences, even within such a small group of the population, is extremely significant. The following texts include episodes of physical and psychological violence, racism, and fatphobia – if you don’t feel comfortable reading them, you can skip ahead and go directly to the main body of the article.

Two years ago, I was diagnosed with endometriosis. I was lucky because I don’t have painful symptoms and because the disease is usually diagnosed at an advanced stage, after a decade of medical gaslighting about the pain it causes. I was less fortunate with the behavior of the gynecologist who diagnosed me; without explaining the disease or what I would have to face, he advised me to have at least four pregnancies during my lifetime as a treatment. I changed gynecologists and chose a woman this time, hoping to find more empathy. I was disappointed; no pregnancies prescribed as treatment this time, but a lot of confusion, very few explanations, and no reassurance. I sought advice from a psychologist in my city who specializes in endometriosis and chronic pain: surely there must be a good gynecologist in the city, capable of treating the disease with competence and humanity? The answer: no. There isn’t. I live in a large Italian city, not a small provincial town. My condition—which in most cases causes much more pain and discomfort than it does for me—is still not well-studied; there is no standard therapeutic path, treatment is hit or miss, somewhat random. Pregnancies are prescribed as if they were medicine. Holistic treatments based on diets are recommended, which in most cases hide in plain sight a fatphobic and scientifically unproven prejudice of the patient lifestyle. It is estimated that at least one in ten people with a uterus has this condition. We are left to fend for ourselves. 

(White cis bisexual woman, 30 years old)

When I was around sixteen, I had incontinence problems, which were quite unusual given my age. My doctor sent me to the hospital for a cervical swab. As soon as I arrived, I was greeted by a midwife. I was with my sister, who is twenty years older than me and was accompanying me. This woman started asking us a lot of questions, “A cervical swab at this age, what problems do you have, incontinence at this age is impossible, what is it for…”. I was shocked; it was the first time I had any gynecological exam and was getting on an exam table. Anyway, my sister insisted she followed the doctor’s request, that if my doctor had asked for it, she (my sister) couldn’t know the specific reason since she wasn’t a doctor. I got on the table, she was extremely rude, and I was already anxious given how she had greeted us. She began the swab, and I felt immense pain, a terrible burning sensation. I started asking her to stop, but she didn’t and pushed harder. I tried to pull away from the ankle supports, and she kept going. This episode has marked me throughout my adult life, developing a phobia of gynecological exams and even penetrative sex. I had to spend years in therapy with a sexologist. 

(White cis bisexual woman)

About eight years ago, I was suffering from menstrual irregularities (which still occur occasionally, though less frequently) due to my history of eating disorders. Tired of not having periods anymore and worried especially about the consequences on my bones, I decided to see a gynecologist. When I shared this idea with my mother, she made an appointment with a doctor she had seen some time before, reassuring me that she was very kind and gentle.On the day of the visit, my period suddenly arrived. I was very scared, having had a disastrous sexual experience before and being frightened by the idea of penetration. Meanwhile, my mother had had a heart attack the previous month and was still recovering at home, so I was a bundle of nerves at the time.Once inside the gynecologist’s office (alone, at my explicit request to my mother), I told her about my irregularity problems and that my period had returned that day, so I didn’t want to be examined. She replied (correctly) that she could still perform the exam. There was an assistant with her (whose presence I was unaware of and who had not been introduced to me).Reluctantly, I lay down on the table and opened my legs. She tried to penetrate me with the instrument (I don’t know what it’s called) and I felt pain, so I screamed. She tried a second time, but it was no use, I kept screaming. At that point, she sighed, and so did her assistant, then, frustrated, she said she couldn’t examine me because I was complaining too much and was unmanageable.We both left the office, and without asking my permission, the gynecologist went to my mother and told her that I was screaming, tense, and she couldn’t examine me. She prescribed me folic acid (without proper evaluation) which I took unnecessarily for a year. This all happened in front of the other patients in the waiting room.After this, I couldn’t bring myself to enter a gynecologist or midwife’s office for years. I only did so for the PAP test and the HPV test, necessary due to contact with a positive person and my explicit need to understand if my sexual health was normal. These last three experiences, in which I was treated decently and with care and consent, made me look back on that previous experience differently, understanding that it was not my fault. 

(White cis woman on the asexual spectrum, 27 years old)

I don’t have an easy relationship with midwives and gynecologists (here I tend to refer explicitly to women because the obstetric violence I’ve experienced has only come from women). My vulvodynia started when I was 16 or 17, a pain I couldn’t understand and for which I sought many consultations. The responses were always dismissive: some would sigh at my persistence, some would say it was all in my head, some would tell me to drink or change boyfriends. Years went by like this, during which I had to get used to the pain (not that one ever truly gets used to it, but you accept it, even when it’s terrible), until 2021. After 9 years, I finally received my first diagnosis. The gynecologist recommended a good midwife, and I began therapy. That year, I also began to heal my relationship with healthcare professionals, only to relapse completely. At the end of the year, I went to a gynecologist for a check-up, after emailing her about my vulvodynia and repeating it again in person before the visit. Once I was naked, legs open, and with a camera pointed at me, she looked at me and started yelling. She made me ashamed of being there, said she couldn’t do anything if I was in that condition, made me feel guilty, and I started crying. Meanwhile, her colleague was laughing. I left there crying and unable to defend myself, and the website I booked my appointment through never allowed me to leave even a negative review. Today, I avoid gynecological visits like the plague, hoping I won’t be forced to have one for a while. 

(White enby person she/they)

I have never gone to a gynecologist in Italy; not only did I never have the strength, but I was stopped at the start by general practitioners, with their behavior making me believe that going to a gynecologist would be a waste of time. My period has always been very heavy and irregularI and I developed uterine fibroids at a young age, which didn’t help. The response from the general practitioners was always the same: “Lose weight and you’ll feel better,” or “Lose some fat, and your periods will hurt less”. I lost my virginity very late, and among the many reasons was the fear of my body. I knew my sexual education was lacking, and I knew I needed a gynecologist, but I was always discouraged. “If you’re still a virgin, what do you need a gynecologist for?” or “The gynecologist will tell you to lose weight”… it was incredible how everything, anything, came back to weight. I could have a toothache, eye pain, earache… I needed to lose weight. “Then for people like you, it shouldn’t hurt to lose your virginity, you have a higher pain threshold, it’s in your blood,” or “Why are you still a virgin? People like you are expected to lose it early, you know what I mean?” Ah… people like me… you have it in your blood… yes, I understand what you mean. So no, I never visited a gynecologist until I was 29, until I moved to the UK, and at 29 I discovered, or rather confirmed to myself, that I had uterine fibroids, an ovarian cyst, and the gynecologist asked me to come back more often because my body needed to be preserved and cared for. When I lived in Asia, there were many awareness campaigns to visit gynecologists, to fight against anything that could get worse over time. I still remember how a doctor told me: “Talk to me, you don’t have to be ashamed”… she was right, I shouldn’t be ashamed, but I didn’t have the courage to open up and get treated. I would like to share my negative experience with gynecologists in Italy, but to the doctors, I was too fat to trouble a colleague, and I would manage anyway, being black, so I didn’t have the privilege of seeing a gynecologist in Italy… and perhaps, reading with pain the experiences of my comrades and sisters, it was better that way. 

(Black cis woman, fat, 31 years old)

A few years ago, during a routine Pap test, I tested positive, and after a few months, genital warts appeared that needed to be removed with laser treatment, a minor surgical procedure involving removing tissue from the cervix. I went to the clinic for the procedure just before visiting my family in Colombia. Throughout the entire procedure, the doctor not only made me feel uncomfortable (I was already very tense, and staff people kept coming in and out as if it were nothing while I was exposed), but also gave me post-operative recommendations, including always using condoms from then on… asking me how many “boyfriends” I had in my country, with an attitude typical of a western white man who views certain cultures as promiscuous and inferior. According to this doctor, in some parts of the world, people have more sex, so it was justified to ask about personal details to assess the risk of contracting viruses or STDs. The same question was posed to me at the follow-up visit three weeks later, always with a tone full of disgust and prejudice. This is just one of several incidents like this – the most recent – that I’ve experienced.

(Woman BIPOC cis heterosexual, 24 years old)

At a certain point in the lives of individuals with a uterus, vagina, and vulva (whether they are cis women or AFAB individuals), this moment arrives: the gynecological visit. In most cases, there’s a doctor, the examination table with the classic leg supports, ultrasound equipment, and the tools of the trade. However, what many professionals seem not to understand is that at that moment there is also a patient, a human being who, as such, experiences emotions and sensations, especially during such a delicate and personal visit.

Gynecological violence encompasses all those actions – physical and verbal – that can make the experience of the visit traumatic, leading many who undergo it to stop undergoing regular checks, thereby risking their health. The lack of tact and empathy, haste, mechanical execution of the examination, judgmental questions and remarks all contribute to making the patient feel physically and psychologically abused. Some even speak of gynecological rape when the person is not informed about what is about to be done to their body, a fundamental right for everyone during a medical visit. It is common to hear testimonies from individuals who have had diagnostic devices inserted into their vagina without being informed, creating immense discomfort that has detrimental effects on their mental health. Not to mention unsolicited questions or remarks about sexual and overall health, or the trivialization of pain with statements like “it’s normal” and “women are built that way.” At the height of these appalling situations are cases where individuals who have never had penetrative intercourse are denied the opportunity to undergo these examinations or screening checks.

The methods used during these visits are invasive, as objects are inserted into the vagina for diagnostic purposes. Among the most well-known are the speculum (a plastic or metal device used to observe the inside of the vagina), then the probe used for transvaginal ultrasounds, the swab to detect, for example, infections, and finally a series of tools for performing surgical procedures such as laser treatments. Even the position required on the examination table can create embarrassment and discomfort.

The bodies of women and AFAB individuals are treated as inanimate objects, as flesh. The patient is blamed for their own pain, for what can or cannot be detected during the visit, for their choices regarding sexual life but also for those regarding pregnancy and contraception. Our bodies are battlefields of social and political struggles – unfortunately – and gynecological violence is yet another expression of how the normalization of pain undermines the dignity of women. How many types of pain have always been considered “normal” when they should have been investigated? How much damage does this devaluation cause to health? Why do some conditions, such as endometriosis, suffer from delayed diagnosis for years? The answer to all these questions is always the same: the view of women as mere baby-makers.

Below is a graph from a 2022 study conducted by Unisalute that shows prevention in gynecological and andrological fields (unfortunately, the study has a strictly binary perspective that does not include trans* and non-binary individuals).

Based on the available data, it is evident that women, in the Italian context in this case, undergo fewer checks than necessary. This could be due to a variety of factors (social, economic, etc.), but also to the psychological consequences that a gynecological visit can entail (or has entailed in the past).

In 2019, the Council of Europe adopted Resolution No. 2306/2019 recognizing obstetric and gynecological violence as violence against women within the legal framework of the Istanbul Convention.

The text reads:

“[…]Obstetrical and gynecological violence is a form of violence that has long been hidden and is still too often ignored. In the privacy of a medical consultation or childbirth, women are victims of practices that are violent or that can be perceived as such. These include inappropriate or non-consensual acts, such as episiotomies and vaginal palpation carried out without consent, fundal pressure or painful interventions without anesthetic. Sexist behavior in the course of medical consultations has also been reported.

“[…]In a few Council of Europe member States, awareness-raising campaigns have been conducted on social networks and numerous testimonies have been collected in recent years. This greater willingness to talk about the problem and the sharing of experiences have enabled women victims of gynecological and obstetrical violence to realize that these were not isolated cases. This violence reflects a patriarchal culture that is still dominant in society, including in the medical field. The Assembly reaffirms its commitment to promote gender equality in all areas, which will make it possible to prevent and combat all forms of violence against women, including obstetrical and gynecological violence.

“[…]The prevention of and fight against gynecological and obstetrical violence are not yet considered priorities, but caring and compassionate practices can be promoted in order to ensure humane, respectful and dignified reception of and support for patients and women about to give birth. The Assembly fully supports the good practices identified by WHO and encourages their dissemination within Council of Europe member States.

In the light of these considerations, the Assembly calls on Council of Europe member States to:

  • prevent and combat discrimination on whatever grounds in access to health care in general;
  •  ensure that care is provided in a manner that respects human rights and human dignity, during medical consultations, treatment and childbirth;
  •  call on the ministries responsible for health and equality to collect data on medical procedures during childbirth and cases of gynecological and obstetrical violence, to undertake studies on this subject and to make them public;
  • disseminate the good practices promoted by WHO and ask national medical associations to discuss this issue and make recommendations to prevent gynecological and obstetrical violence, in particular through a commission to promote a caring approach in gynecology;
  •  conduct information and awareness-raising campaigns on patients’ rights and on preventing and combating sexism and violence against women, including gynecological and obstetrical violence;
  •  enact and implement legislation on the informed consent of patients and their right to information at the various stages of medical procedures, if this has not yet been done;
  •  ensure appropriate funding for health-care facilities so as to ensure decent working conditions for care providers, respectful and caring reception of patients and women in labor and access to pain relief;
  • provide specific training for obstetricians and gynecologists and raise awareness of gynecological and obstetrical violence as part of this training;
  •  ensure that the training of doctors, midwives and nurses attaches particular importance to the relationship between care providers and patients, the concept of informed consent, equality between women and men, the reception of LGBTI persons, persons with disabilities and vulnerable persons, communication, the prevention of sexism and violence, and the promotion of a humane approach to care;
  •  propose specific and accessible reporting and complaint mechanisms for victims of gynecological and obstetrical violence, within and outside hospitals, including with ombudspersons;
  • provide for a mechanism to examine complaints about gynecological and obstetrical violence excluding any mediation, and provide for sanctions, if this is not yet the case, against health-care professionals when a complaint about this kind of violence is proven;
  •  offer a support service to victims of gynecological and obstetric violence and ensure that care is provided. […]”

Despite the issue of gynecological violence being addressed by institutions, there doesn’t seem to be a genuine interest in implementing conscious and respectful practices during  gynecological visits. If you were to ask women and AFAB individuals that you know, whether they have ever experienced gynecological violence, whether physical or verbal, surely at least one of them would answer affirmatively. This issue should be seriously addressed by healthcare providers to make women feel welcomed and not violated in such an intimate moment.

Once again, women’s bodies are objects appropriated by a society that treats them as commodities.


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