Post: Alessia

Edit: Zula

Traduzione: Roberta F.

Edit Traduzione: Teresa

Grafica: Claudia

Disclaimer: Il termine “colorato” e “colour*d”, sono termini che sono stati usati nei confronti di chi ha creato la rubrica, Italiana nera di origine Afro-statunitense e Afro-Latina Peruviana che ha deciso di riappropriarsi dei termini sopracitati, la cui violenza non è da meno rispetto agli slurs più spesso utilizzati. Il volere di riappropriarsi di quei termini non vuole tuttavia in nessun modo triggerare le persone che leggono, motivo per cui  teniamo a specificare il perchè dell’uso delle parole scritte. 

Dov’è casa? Questa domanda noi BIPOC l’abbiamo sentita spesso in forme diverse e con toni diversi, ma sempre con gli stessi intenti: arrivare a porgere la questione: “Da dove vieni veramente?” Perchè non ci credo che sei Italian*, non puoi esserlo – quindi dimmi – da dove vieni?

Il chiedere le origini , anche con insistenza, è la forma più diffusa e subdola di micro aggressione che una persona possa subire, celata dalla solita giustificazione della “curiosità” che  subito svanisce quando a presentarsi è  una persona non BIPOC. Perchè non suscitano la stessa curiosità? Perchè non sono divers*, o almeno non così tanto da sembrare divers*, lo sono il giusto da potersi “confondere” tra la folla.

Non ci credo che sei curios*, perchè alle persone bianche l’albero genealogico non lo chiedi, e se la persona BIPOC vive in un Paese in cui le persone lui/lei/loro, per tratti somatici non sono la maggioranza, questa domanda viene posta di continuo.

Ci sono tant3 Asiatic3-American3 (da nord a sud), tuttavia non passa giorno in cui non debbano spiegare “se alla fine della fiera vengono dalla Cina o da un altro Paese Asiatico”.

Ci sono tantissimi Europe3 ner3 – che sono in Europa da generazioni – tuttavia la spiegazione dell’albero genealogico non è esaustiva fino a quando non senti la parola Africa.

Poi arrivano persone bianche, che vivono negli Stati Uniti, da 2 o 3 generazioni massimo, ma a loro “da quale Paese Europeo vengono veramente” non viene chiesto.

E’ stancante.


A volte noi persone BIPOC sentiamo la necessità di trovare “casa” perché la costante domanda sul “da dove vieni” implica che dove siamo ora chiaramente non sia “casa”.

Che cos’è la casa? Mi sono posta questa domanda.

A scrivere è una delle tante persone che non sa esattamente da dove i propri antenati provengono: gli Afro-American* (da nord a sud) possono risalire al massimo all* bisnonn* o  poco prima. Dopodichè le nostre origini, radici, lingue, culture, sono completamente sradicate e noi non sappiamo nulla, motivo per cui siamo profondamente legat* a questo continente.

Condividiamo con le persone Indigene una cancellazione che niente e nessun* potrà mai sanare, per questo noi Afro-American* teniamo alle nostre radici, perché le nostre radici non si possono diramare oltre, perchè abbiamo tirato su questo continente con dolore, lacrime, sudore e sangue,e perchè ormai per noi questa è casa.

Ed è più casa mia da Afro-Americana, discendente di chi ha costruito questo Paese a frustate, fucilate e st*pri, piuttosto che di una persona Statunitense di seconda generazione, la cui bianchezza permette  di “mescolarsi” tra la folla. 

Io so che i miei antenati 400 anni fa erano qui, ed i vostri? Non ne sono così sicura.

Eppure non è mai abbastanza, non è casa mia.

Nel mio caso poi, è ancora  diverso.

Conosco la storia dei miei genitori: vengono dalle Americhe e so che sono nata e cresciuta in Italia. So che la mia lingua madre è l’Italiano, so di pensare in Italiano, eppure la mia “casa” mi ha spinto ad andare via, dall’altra parte del mondo – in Asia – dove ho vissuto per tanti anni ed ho ritrovato me stessa.

Sono tornata in Europa ma non in Italia. Non per  timore, ma a causa della certezza di tornare al punto di partenza, e la me stessa ritrovata sta crescendo, sta maturando, nel Paese in cui mi trovo da anni.

Ed è anche lì che la domanda è sorta nuovamente, sempre e solo dalle ultime persone da cui mi aspetto questa domanda. Mi ascoltavano e domandavano: “Sì ma dov’è casa?”

Non me lo chiedevano persone di altri Paesi ma persone Italiane, con le quali condivido la “casa”. Mi chiedevano dove fosse come se pensassero che non fosse “qui”, come per loro.

Ero infastidita, perchè avevo capito che non mi stavano ascoltando né vedendo, mi stavano solo sentendo.

Ero seccata, perché non ero la prima italiana che lasciava l’Italia per andare altrove. Alle altre persone non veniva chiesto dov’era casa, a me sì, ma smisi di pensarci  mentre prendevo un volo verso casa.

Dove mi sento a mio agio?

Dov’è che mi sento al sicuro?

In quale posto so che potrò tornare, ovunque andrò, e chiamare “casa”?

Sarò una mammona, ma mi è bastato un piatto di pasta preparato da mia madre e  ho realizzato dove sia casa: “a casa di mamma”.

Ringrazio di avere il privilegio di avere un posto che mamma ha creato, dove potersi sentire a casa, dove potersi sentire liber*, e soprattutto safe.

Ringrazio di avere il privilegio di avere un posto che l* mie* figl* potranno chiamare casa.

Ringrazio il cielo di avere un posto che posso chiamare casa e dove la mia anima è libera.

Al pensiero di “casa” ora non mi arrabbio più per questa domanda, non mi secco più, perchè l’ho trovata, ed è questo ciò che conta.

Ho sempre detto di avere le radici in America, la famiglia in Italia, il cuore in Giappone ed il futuro nel Regno Unito… ora so anche dove ho casa.

Dove la mia anima è libera.

Disclaimer: the term “colour*d” has been used towards the person who created this column, an Italian Black woman of Afro-American and Afro-Latin-Peruvian origin, who has decided to reclaim the aforementioned term, whose violence is no different from other, more commonly used slurs. Yet, the desire to reclaim those terms doesn’t mean to trigger those who read in no way, which is why we’d like to specify the reasons for the use of these written words.

Where is home? We BIPOC have often heard this question in different forms and different tones, but always with the same purposes, that is arriving to address the question: “Where do you really come from? Because I can’t believe you’re Italian, you can’t be, so tell me, where do you come from?”

Asking about the origins, even insistently, is the most common and sneaky form of micro-aggression that a person can suffer, hidden by the same old justification of “curiosity”, that suddenly vanishes when a non-BIPOC person shows up. Why don’t they arouse the same curiosity? Because they aren’t so different, or at least not so much to seem different, they are just different enough to “blend in” with the crowd.

I don’t believe you are curious because you don’t ask white people about their family tree, and if the BIPOC person lives in a country where they aren’t a majority because of their somatic features, this question is continuously asked.
There are many Asian-American (from the north to the south), yet not a day goes by when they don’t have to explain “whether they come from China or from another Asian country”.

There are many Black Europeans – who have been in Europe for generations -, yet the explanation of the family tree isn’t exhaustive until people hear the word “Africa”.

Then white people come, those who have been living in the USA for two or three generations if anything, but they aren’t asked “which European country they really come from”.

It is exhausting.

Sometimes, we BIPOC feel the need to find “home” because the constant question “where do you come from?” means that where we are now clearly isn’t “home”.
What is home? I asked myself this question.

The person who is writing is one of the many people who don’t know exactly where her ancestors come from: the Afro-American (from the north to the south) can only go back to their great-grandparents or just before. After that, our origins, roots, languages and cultures are completely eradicated and we don’t know anything, which is why we are deeply connected to this continent. Alongside Indigenous people, our communities /subjectivities have been systematically erased and nothing or nobody can ever heal our loss. That is why we Afro-Americans care about our roots: because these roots can’t branch off any further, because we raised this continent with pain, tears, sweat and blood, and because at this point this is home for us. 

And it is more home to me, an Afro-American, descending from those who built this country with strokes, shots and r*pes, rather than to a second-generation US person, whose whiteness allows them to “blend in” with the crowd.

I know that my ancestors were here 400 years ago, what about yours? I’m not so sure about that.
Yet it’s never enough, this isn’t my home.
In my case, additionally, it’s even different.

I know the story of my parents: they come from the Americas and I know I was born and raised in Italy. I know that my mother tongue is Italian, I know I think in Italian, yet my “home” pushed me to go away, to the other side of the world – in Asia – where I lived for many years and I found myself again.

I came back to Europe, but not to Italy. Not out of fear, but because I was sure I would go back to the starting point, and my newfound me is growing and maturing in the country where I have been living for years.

And even there, the question was raised again, always and only by the last people from whom I expected it. They listened to me and asked: “Yes, but where is home?” I wasn’t asked this by people from other countries, but by Italians with whom I share “home”. They asked me where it was, as if they thought that it wasn’t “here”, just like for them.

I was annoyed because I realised that they weren’t listening to me or seeing me, they were just hearing me. 

I was bothered because I wasn’t the first Italian who has left Italy to go elsewhere. Other people weren’t asked where their home was, I was, but I stopped thinking about it while I was about to take off for home. 

Where do I feel at ease?

Where do I feel safe?

Which place do I know I can always come back to and call “home”, no matter where I go?

I may be a mama’s girl, but all it took was one plate of pasta cooked by my mother and I realised where my home is: “at my mom’s house”. 

I am grateful to have the privilege of having a place that my mom has created, where I can feel at home, where I can feel free and above all safe.

I am grateful to have the privilege of having a place that my children will be able to call home. 

I am grateful to have a place that I can call home and where my soul is free.

Now, when I think about “home”, I no longer get angry at this question, I no longer get annoyed, because I found it and that’s what matters.

I have always said that I have my roots in America, my family in Italy, my heart in Japan and my future in the United Kingdom… Now I also know where my home is.

Where my soul is free.


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