Disclaimer: I termini “colorato” e “colour*d”, sono sono stati utilizzati nei confronti di chi ha creato la rubrica, Italiana nera di origine Afro-statunitense e Afro-Latina Peruviana che ha deciso di riappropriarsi dei termini citati, la cui violenza non è da meno rispetto agli slurs più comunemente diffusi. Il desiderio di riappropriarsi di questi termini non vuole tuttavia in nessun modo triggerare le persone che leggono, motivo per cui teniamo a motivare la scelta dell’uso delle parole che troverete scritte.
Diciamoci la verità, a volte siamo l* peggior* nemic* di noi stess*.
A volte non riusciamo a fare a meno di auto-sabotarci, arrivando a cadere rovinosamente anche in prossimità del raggiungimento di obiettivi per cui abbiamo lottato tantissimo, mandando tutto in frantumi.
Queste riflessioni essendo “colorate” avranno maggiore risonanza e possibilità di essere capite tra persone BIPOC, ma in questo caso credo che l’argomento possa risultare … “comprensibile”?
Forse perché in fondo, ognun* di noi – almeno una volta – è stat* l* peggiore nemic* di se stess*.
Ricordo ancora da piccola quanto le “battutine”, per qualunque cosa, in realtà mi facessero molto male. Le lacrime che uscivano non fermavano chi mi feriva, anzi, le mie lacrime alimentavano lo scherno.
“Non devi piangere, sennò continuano” mi dicevano le persone adulte.
Ho pensato che ciò che subivo fosse colpa mia.
Non dovevo piangere, dovevo ridere. Ed è così che ho iniziato ad anticipare le battute dell3 altr3 facendole io per prima proprio su di me: ora la gente non rideva DI me, rideva CON me, era diverso no? Ero una che non se la prendeva, no?
E invece dentro stavo malissimo.
Ero improvvisamente una simpaticona, ma tutte quelle battute, e accettare quegli insulti, mi ha fatto inconsciamente pensare che in fondo lo meritavo, se non avevo abbastanza forza per difendermi allora meritavo tutto ciò.
Diventata più grande, mi sono ritrovata a parlare delle persone di cui mi circondavo. Qualcuno mi ha detto: “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. Anni fa facevo parte di una comitiva, tutte le persone che gravitavano intorno a questa comitiva di tanto in tanto facevano “battutine” su di me e ne ridevamo “insieme” anche se soffrivo dentro di me per l’umiliazione subita.
Non erano brave persone, uscivano con una persona che non stimavano e quando è così si dovrebbe capire che c’è qualcosa che non va in te, e almeno quello ce l’avevo in comune con loro… anche in me c’era qualcosa che non andava.
Quando da più piccola si parlava di partner ho sempre pensato che se avessi avuto una relazione mi sarei sentita la persona più felice al mondo, finalmente qualcun* che potesse vedermi per quella che ero e amarmi. Non mi interessavo a persone superficiali, desideravo persone vere, ma venivo costantemente ferita.
Qualcuno mi ha detto: “Solitamente non scegliamo chi ci piace, scegliamo chi pensiamo di meritarci”, una frase che mi ha aiutato a realizzare che non riuscivo a tracciare dei confini nelle relazioni, non riuscivo ad avere degli standard perché non potevo averne se mi sentivo grata e fortunata anche per il solo fatto di essere considerata.
Per la prima volta in vita mia ho realizzato cosa fosse il self hate.
Accettare meno delle briciole da chi non ti rispetta, desiderare il minimo da gente che non ti considera, sperare nel nulla da persone che non sanno chi sei è indice di un individuo che non conosce il proprio valore.
Da quando ho cominciato a girare il mondo e a esplorare il campo del self hate ho potuto comprendere quanto fosse sviluppato e potesse assumere diverse forme.
Ho visto persone BIPOC light skin unirsi a persone bianche razziste e deridere persone BIPOC dark skin, pensando così di rendersi immuni dalla negatività del razzismo che le circondava.
Ho visto persone che secondo la nostra società categorizzante e schifosa, potevano “sembrare queer”, o “avere una voce femminile” etc. gridare insulti omofobi ad altre persone, così da far ricadere i “sospetti” sulla persona denigrata pubblicamente.
Ho visto persone appartenenti a minoranze etniche/religiose nascondere la loro identità, unirsi al gruppo di oppressor* che dicevano e facevano le peggiori cose, per sentirsi “parte di un gruppo di potere”.
Ho cominciato a vedere self hate tutto intorno a me.
Che mondo schifoso quello in cui viviamo.
Tutto questo mi ha portato a desiderare di reagire e a domandarmi cosa potessi fare per cambiare le cose, cosa potessi fare per aiutare l3 altri3 senza pensare, ancora una volta, a quello che avrei potuto fare per me stessa.
Ho intrapreso un percorso molto lungo, prima di riuscire a dirmi “sei bella”.
Ho fatto un percorso molto tortuoso prima di non accettare più nemmeno una “battuta per ridere”.
Ho fatto un percorso molto intenso prima di riuscire a ricambiare con la stessa moneta chi mi deumanizzava.
Ma soprattutto un percorso incredibile prima di amarmi.
Ora mi amo: non mi sono amata per molto tempo ma finalmente mi amo e mi amerò ogni giorno, sempre di più.
Mi piacerebbe ricordare alle persone light skin che quando i razzisti finiscono di insultare le persone dark skin, di solito poi tocca a loro.
Mi piacerebbe ricordare alle persone che si uniscono alle “bullette” della scuola, umiliando e sfottendo “le sfigate” perché non sono alla moda o sono considerate brutte, che una volta che si saranno annoiate di accanirsi su di loro e magari cambieranno classe o scuola, nel cercare il prossimo target, potrebbe toccare a loro il trattamento riservato all3 sfigat3 precedenti..
Mi piacerebbe ricordare a quelle persone che si uniscono a chi fa outing e insinuazioni di vario genere, che quando saranno riuscit3 nella loro impresa da detective e riusciranno a “scovare chi è gay”, le indagini ricominceranno, e magari non avere un partner per qualche mese sarà un motivo sufficiente per cominciare a fare insinuazioni su di loro.
Non ho più tempo di focalizzarmi sulle altre persone, almeno non fino a quando il mio percorso di guarigione sarà finito.
In questo percorso sto ancora cercando di non far piangere più quella bambina ferita.
Le vorrei dire di non piangere più, quel che è stato è stato, che non è ancora tutto finito, ma quel che è stato non sarà mai dimenticato.
Sono cambiata, sono cresciuta, sono evoluta… e sono finalmente diventata la migliore amica di me stessa, di quella bambina interiore che adesso sento sorridere.
Traduzione
Disclaimer: The terms “colorato” in Italian and “color*d” in English are both terms that were used against the person who created this column for the website, a Black Italian woman of African-American and Afro-Latina Peruvian descent, who decided to reappropriate them. The violence of these terms is no less than that of other slurs. However, the desire to reappropriate those terms is in no way meant to trigger the readers, which is why we are keen to specify why these words were chosen.
Let’s face it, sometimes we are our own worst enemy. Sometimes we can’t help but self-sabotage, ending up falling ruinously even when we are close to reaching goals for which we have fought so hard, thus shattering everything.
Being ‘coloured’, these reflections will have more resonance and a greater chance of being understood among BIPOC people, but in this case, I think the topic may be… relatable?
Perhaps because after all, each of us – at least once – has been their own worst enemy.
I still remember as a child how much the ‘’jokes‘’ about anything actually hurt me. The tears that came out did not stop those who hurt me; on the contrary, my tears fuelled the mockery.
‘You mustn’t cry, or they will continue,’ adults would tell me.
I thought what I was suffering was my fault.
I shouldn’t have cried, I should have laughed. And that’s how I started to anticipate other people’s jokes by joking about myself first: now people didn’t laugh AT me, they laughed WITH me, it was different, wasn’t it? I was someone who didn’t mind, wasn’t I?
But on the inside, I felt awful.
I was suddenly a funny person, but all those jokes, and accepting those insults, made me unconsciously believe that I deserved it after all, if I didn’t have enough strength to defend myself then I deserved it.
As I got older, I found myself talking about the people I surrounded myself with. Someone told me: ‘Tell me who you go out with and I will tell you who you are’. Years ago I was part of a group, all the people who gravitated around this group would occasionally make ‘jokes’ about me and we would laugh ‘together’ about it even though I was hurting inside from the humiliation.
They weren’t good people, they were hanging out with a person they didn’t respect and when that’s the case you should realise there’s something wrong with you, and at least I had that in common with them… there was something wrong with me too.
When I was younger I always thought that if I had a relationship I would feel like the happiest person in the world, finally someone would see me for who I was and love me. I wasn’t interested in superficial people, I wanted authentic people, but I was constantly being hurt.
Someone told me: ‘We don’t usually choose who we like, we choose who we think we deserve’, a phrase that helped me realise that I couldn’t draw boundaries in relationships, because it was impossible to have any if I felt grateful and lucky just to be considered.
For the first time in my life, I realised what self-hate was.
Accepting less than crumbs from people who do not respect you, wanting the bare minimum from people who do not consider you, and hoping for thin air from people who do not know who you are is a sign of an individual who does not know their own value.
Since I started travelling the world and exploring the field of self-hate, I have come to realise how developed it is and how it can take different forms.
I have seen BIPOC light-skinned people join racist white people and mock BIPOC dark-skinned people, thinking thus to make themselves immune from the negativity of racism that surrounded them.
I have seen people who, according to our categorising and disgusting society, might ‘look queer’, ‘have a feminine voice’ etc. shout homophobic insults at other people, to cast ‘suspicion’ on the publicly denigrated person.
I have seen people from ethnic/religious minorities hide their identity, join the group of oppressors who said and did the worst things, in order to feel ‘part of a power group’.
I started to see self-hate all around me.
What a filthy world we live in.
All this led me to want to react and ask myself what I could do to change things, what I could do to help others without thinking, once again, about what I could do for myself.
I took a very long journey before I was able to say ‘you are beautiful’ to myself.
I traveled a very tortuous path before I could no longer accept a joke ‘just for laughs’.
I endured a very intense journey before I was able to reciprocate those who dehumanised me.
But above all, an incredible path before I could love myself.
Now I love myself: I have not loved myself for a long time but I finally love myself and I will love myself every day, more and more.
I would like to remind light-skinned people that when racists finish insulting dark-skinned people, then it is usually their turn.
I would like to remind people who join the school ‘bullies’, humiliating and mocking ‘the losers’ because they are not fashionable or are considered ugly, that once they get bored of picking on them and maybe change classes or schools, seeking the next target, it might be their turn to be treated like the previous losers…
I would like to remind those people who come together with those who out people and make insinuations of various kinds, that when they have succeeded in their detective work and manage to ‘find out who is gay’, the investigations will start again, and maybe not having a partner for a few months will be enough reason to start making insinuations about them.
I no longer have time to focus on other people, at least not until my healing journey is over.
On this path, I am still trying to stop that hurt little girl from crying.
I would like to tell her not to cry anymore, the past is gone, it is not over yet, but the past will never be forgotten.
I have changed, I have grown, I have evolved… and I have finally become my own best friend, the best friend of that inner child who I now feel is smiling.
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